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Intervento PROF. VIRGINIA MESSERINI
Ordinario di Diritto Pubblico dell’Università degli Studi di Pisa
Certo dopo l’intervento così denso di pathos del Professor Eusebi, e anche degli altri interventi precedenti, io che riporterò il discorso a profili più tecnici, più giuridici, raffredderò certamente l’uditorio, me ne dispiace e mi scuso, ma penso che il discorso comunque sia utile e necessario anche per individuare poi sul piano concreto - come si veniva stimolati prima - quali possono essere i percorsi giuridici, le vie concrete per riuscire a raggiungere quegli obiettivi che così mirabilmente sono stati già delineati.
Sulla Costituzione, che è il punto di partenza di ogni discorso giuridico, si è già detto parecchio, io vorrei solo aggiungere alcuni aspetti, che mi servono poi per riuscire a precisare, puntualizzare il rapporto fra i disabili e la società, fra i disabili e le istituzioni, e il ruolo che le istituzioni e la società possono avere per includere al loro interno i disabili. Ritorno sul diritto alla dignità richiamato in precedenza, che noi troviamo riconducibile alla Costituzione, anche se nella nostra Costituzione espressamente non si parla di un diritto alla dignità, come in altre costituzioni avviene, come avviene nella Costituzione tedesca, come avviene nella Costituzione spagnola, nella Costituzione portoghese, nelle dichiarazioni dei diritti che ai vari livelli di ordinamento internazionale avviene. Ma la nostra Costituzione, pur non richiamando espressamente un diritto alla dignità, presuppone però questo diritto alla dignità in modo estremamente forte, indica la dignità della persona come un nucleo irriducibile aldilà – mi vien fatto di dire – della stessa esistenza fisica della persona. Dico questo perché mentre la Repubblica può chiedere in casi estremi ai cittadini anche il sacrificio della vita, come nel caso della guerra difensiva, unica ammessa dalla nostra Costituzione – come voi sapete – all’art. 52, quindi la Repubblica può chiedere in casi estremi il sacrificio della vita, ma non potrà mai chiedere il sacrificio della dignità, perché se si toglie la dignità ad una persona si infligge a questa persona – potremmo dire – una pena più grave della morte perché la dignità è l’essenza stessa della persona, e alla dignità non si può mai rinunciare in qualsiasi situazione l’individuo si trova, in qualsiasi situazione anche di menomazione della libertà, si pensi ai problemi che questo comporta per le persone che sono ad esempio nelle carceri, ma per quelle che sono negli ospedali? Per i disabili gravi che hanno le loro libertà fisiche estremamente compresse, ma che non possono rinunciare in alcun modo alla loro dignità. Ora questa dignità che la nostra Costituzione quindi presuppone e richiama come un diritto inviolabile, come un nucleo irrinunciabile e irriducibile della persona umana viene collegato alla società, viene messo in connessione con la società perché l’uomo è inserito nella società, l’uomo – come già diceva il Professor Eusebi – non vive da solo, l’uomo vive nella società e in tutte le forme in cui la società esiste, l’uomo è società prima che Stato, e se questo è vero allora le istituzioni assumono un rilievo determinante proprio per quanto riguarda il rispetto del diritto alla dignità. Nei confronti della dignità io penso che sia importante parlare non solo di diritto ma di rispetto proprio perché bisogna garantire che ogni individuo possa esprimere in tutta la sua pienezza, pur nelle condizioni in cui si trova, quella che è l’essenza stessa della sua personalità. L’elemento di novità che - è stato già sottolineato prima – noi troviamo nella nostra Costituzione è proprio il collegamento dei diritti fondamentali e quindi della dignità dell’uomo con la società. L’art. 3 dice “La Repubblica deve rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della personalità”, ed è proprio attraverso il collegamento della dignità con il principio di uguaglianza e con questo obbligo, dovere della Repubblica di intervenire per rimuovere gli ostacoli che si trova quella sintesi, quel superamento – che era stato prima sottolineato – tra l’apparente contraddizione del principio di uguaglianza con l’esistenza di differenze che nella vita, nella società noi incontriamo, proprio attraverso la dignità si ricompone quell’apparente disomogeneità tra le singole differenze di situazioni, di condizioni e l’uguaglianza degli individui. Dicevo prima che l’elemento sociale è l’elemento di novità - che si riconduce a tutto il dibattito sulla tutela, il riconoscimento della dignità e del principio di uguaglianza – è dato proprio dal fatto che c’è un’impostazione dinamica nei confronti della tutela di questo diritto, del rispetto della dignità. Cosa vuol dire “un’impostazione dinamica”? Vuol dire che non basta il riconoscerlo sulla carta, occorre intervenire, occorre agire per promuovere questa effettiva uguaglianza per assicurare in concreto, di fatto il rispetto della dignità e la tutela dei diritti fondamentali, non basta quindi – riesprimo lo stesso concetto con un’espressione diversa che ha espresso già il Professor Eusebi – una tutela passiva, occorre una tutela attiva, occorre un agire, occorre che le istituzioni, ma anche la società, operino perché questi diritti vengano garantiti in concreto, di fatto, è la grande novità del nostro art. 3 della Costituzione e che lo distingue rispetto ad altre formule che in altre costituzioni noi troviamo. Allora lo Stato non può essere indifferente allo sviluppo economico e sociale, non può essere indifferente - ed è responsabile - a favorire le condizioni perché i diritti fondamentali e anche il rispetto della dignità possa trovare una sua concretezza. Questo ruolo attivo - sul quale voglio ritornare – dello Stato per dare concretezza a questa esigenza di rispetto della dignità, che proprio è un’esigenza fondamentale, che sta al fondo di tutta la nostra Costituzione, questa esigenza di assicurare in concreto il rispetto della dignità della persona, soprattutto delle persone che si trovano in condizioni particolari di limitazioni nelle loro libertà, di difficoltà a esprimere appieno la loro personalità, ha subito un processo evolutivo - il cui approdo è quello che noi vi abbiamo detto – che è parallelo ad un processo evolutivo che riguarda la definizione della disabilità, e io vorrei qui fare un riferimento a dei documenti che a livello internazionale importanti sono stati elaborati, approvati e ratificati dal nostro Stato e anche nell’Ordinamento Comunitario. Non ho sentito prima qui il riferimento a questi documenti che mi sembrano molto importanti, e io penso che in questa sede sia il caso di richiamarli brevemente: mi riferisco alla Convenzione Internazionale per i Diritti delle Persone con Disabilità approvato dalle Nazioni Unite nel 2006 e ratificato dall’Italia l’anno scorso e dall’Unione Europea poco dopo, sempre nel 2009. E’ stato considerato come un documento importante perchè è il primo accordo sui diritti umani del III millennio, del 2000, è il documento più autorevole perché è stato adottato da 192 stati, e questo documento è importante perché ci da’ due indicazioni che in questa sede ci interessano molto: innanzitutto dice che cosa è la disabilità, ma la definisce con un’impostazione innovativa rispetto alle espressioni tradizionali che si possono dare della disabilità “La disabilità è il risultato dell’interazione tra persone con le menomazioni e le barriere comportamentali ed ambientali che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri”. Come vedete con questa definizione si riassume molto delle riflessioni che sono state fatte prima, perché si collega la situazione della disabilità con gli aspetti sociali, con la società. Innanzitutto si dice che la disabilità non è solo un dato personale, ma è il risultato di un’interazione con le barriere comportamentali e ambientali, quindi con le barriere che possono derivare dalla società. Questa definizione quindi ci porta nel cuore del rapporto fra disabilità e società. Mettere in connessione gli aspetti della disabilità con la società vuol dire andare avanti in quel processo che ha portato le persone che sono affette da gravi disabilità da una situazione di esclusione ad una situazione successivamente di marginalità, e poi ad un’esigenza di inclusione per realizzare in modo compiuto la pari dignità. Ecco il nuovo aspetto che presenta la Convenzione, quello della inclusione, infatti facendo riferimento agli obiettivi la Convenzione – che ho prima ricordato – pone fra gli obiettivi “promuovere, proteggere e assicurare il pieno godimento e in condizioni di uguaglianza di tutti i diritti umani, di tutte le libertà fondamentali e per tutte le persone con disabilità, promuovendo il rispetto della loro intrinseca dignità”, quindi impone che si abbandoni questa definizione che si da’ di disabilità e di indicazione degli obiettivi, impone che si abbandoni l’indirizzo tradizionale che fino ad ora, fino a poco tempo fa veniva seguito nei confronti dei disabili, che era una risposta ai bisogni, invece ora bisogna porre il centro dell’attenzione sulla dimensione dei diritti, quindi occorre sostituire – e si diceva prima – le politiche dell’assistenza con le politiche dell’inclusione. Questo cosa ci porta ad affermare? E su questo devo dire che vi è una piena convergenza anche con le posizioni dell’Unione Europea, il più recente documento, di pochi mesi fa dell’Unione Europea va proprio in questa direzione: nell’esigenza dell’inclusione. “Inclusione” vuol dire che i disabili devono essere accolti dalla società e la società deve trarre da loro anche la forza di tipo culturale per poter proseguire ed andare avanti; vuol dire che le istituzioni a livello territoriale anche più vicine alle varie situazioni devono operare innanzitutto per cercare di affrontare i bisogni dei disabili, ma non è solo questo – e su questo voglio ritornare – non solo affrontare il problema dei bisogni dei disabili, ma cercare di promuovere una crescita culturale, una crescita della società, ambientale direi e culturale della società, e il fatto che qua siano presenti tante persone, il fatto che qua siano presenti anche tanti giovani da’ una speranza in questo senso, proprio per cercare di promuovere nella società quella cultura necessaria per riuscire a raggiungere l’obiettivo dell’inclusione, “inclusione” che vuol dire che il disabile deve vivere nella società, fa parte della società, non deve essere emarginato, non deve essere escluso. Questo permette anche di affermare che le istituzioni si devono promuovere e devono operare perché i disabili se lo ritengono opportuno possano scegliere un percorso di vita all’interno della famiglia, e non solo, all’interno della società, non rimanere chiusi nelle istituzioni, che pur possano soddisfare i loro bisogni di assistenza, ma non soddisfano quell’esigenza di dare pieno sviluppo alla loro dignità. I disabili devono riuscire a vivere nella società che deve essere in grado di accoglierli, e su questo le istituzioni possono fare molto – ricordava prima il Sindaco – alcune regioni, non molte, poche, si sono già mosse in questa direzione. Come si possono muovere in questa direzione? Innanzitutto permettendo, attraverso forme di sostegno, la possibilità che i disabili rimangano nei loro ambienti, rimangano nel loro ambito sociale, permettendo anche un sostegno a tutte le associazioni che possono dare proprio questa possibilità della persona che si trova in una grave disabilità a vivere insieme agli altri, ad essere circondata dall’affetto degli altri. Il Comune, la Regione in questa direzione devono essere in prima fila, lo Stato può dare indicazioni attraverso delle leggi di principio, ma poi i protagonisti devono essere le istituzioni territoriali, e per sottolineare il ruolo che in questa direzione può dare la società, ma anche gli effetti che la società riceve dalla presenza di queste persone. Lo ha fatto prima il Professor Eusebi, vorrei ricordare… non l’ho mai fatto, ma in questo ambiente mi viene così… questo bisogno di far presente un episodio della mia vita passata, della mia vita personale: io in tutta la giovinezza ho vissuto accanto a una persona gravemente disabile, era una zia, la sorella della mia mamma, che era affetta da sclerosi multipla, un tempo si diceva sclerosi a placche, una persona meravigliosa che man mano è andata perdendo la sua libertà di movimenti, era rimasta praticamente quasi impedita in tutti i suoi movimenti, e anche la vista si andava sempre più riducendo. Bene, questa persona è riuscita con la sua serenità, con la sua forza di accettazione delle sue condizioni, con la testimonianza della sua vita a dare non solo un esempio a me, ai miei fratelli, ai miei genitori ovviamente, ma a dare forza a noi. Non eravamo noi che si dava forza a lei ma era lei che dava forza a noi, ma non solo a noi, c’erano molte amiche, la mia mamma aveva molte amiche che inizialmente venivano a trovare la mia zia per uno spirito assistenziale, di carità, ma che poi hanno avuto tanto beneficio, tanta forza che dicevano a noi “Quanto ci ha fatto bene questo esempio”. Questa testimonianza della mia vita personale mi porta ad affermare che queste persone che combattono così tanto con i loro dolori, con le loro limitazioni sono una forza anche per la società, ed è per questo che questa esigenza di inclusione va assecondata, d’altra parte ce lo indica, è un percorso che ci indicano, che ci viene indicato a livello internazionale, la Dichiarazione che vi ho prima letto, a livello comunitario. A livello comunitario come? Io qui vorrei ricordarlo come un possibile percorso: indicando delle possibilità di progetti finanziati dalla Comunità Europea, progetti che possono promuovere delle buone prassi, e quindi dar luogo poi ad un’acquisita consapevolezza della società che può portare veramente a modificare la legislazione e a permettere di distribuire in modo diverso le risorse che mi rendo conto sono pur limitate, ma le risorse che comunque le istituzioni pubbliche possono offrire perché questo avvenga. In questo modo si avrebbe davvero quella integrazione tra quel principio di sussidiarietà verticale e di sussidiarietà orizzontale che la nostra Costituzione rinnovata del 2001 ha proclamato nell’art. 118, in cui si richiama il principio di sussidiarietà orizzontale, che vuol dire che le istituzioni devono operare a livello più vicino ai cittadini per far fronte alle esigenze dei cittadini, di tutti i cittadini, anche di quelli che hanno, e anzi, ancor più, nei confronti di quelli che hanno maggiori difficoltà; ma anche sussidiarietà orizzontale, che vuol dire che la società in tutte le sue articolazioni attraverso le associazioni di tutti i tipi, anche quella che ha contribuito a promuovere questa iniziativa, il SOROPTIMIS, di cui faccio parte, quindi sono molto contenta di essere intervenuta anche in questa occasione, proprio perché l’iniziativa era stata assunta anche dal club di cui faccio parte, e queste associazioni devono tutte quante portare ad una crescita della società. Che vuol dire “crescita della società”? Vuol dire anche permettere la piena attuazione dei diritti, soprattutto dei diritti delle persone che si trovano in una situazione di maggiore difficoltà. Io ora mi rivolgo alle persone disabili che vedo qui accanto e che saluto veramente con molto affetto: trovare la forza per portare avanti questa vostra testimonianza; sappiate che questa vostra testimonianza serve anche agli altri, quindi non vi dovete sentire isolati, dovete sapere che la società intorno a voi vi circonda, vi circonda con affetto, vi da’ la forza perché voi riuscite a dare forza anche agli altri. Grazie.