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Il 26 Novembre 2010 si è svolta a Piombino presso l'Hotel Falesia la prima edizione del convegno


"Il diritto ad una vita dignitosa"

 

CONVEGNO RIFERITO ALLE PERSONE DISABILI GRAVISSIME

PATROCINIO REGIONE TOSCANA

 

e

COMUNE DI PIOMBINO

PER

"IL DIRITTO AD UNA VITA DIGNITOSA"

 

Organizzazione Soroptimist International


CLUB di PIOMBINO

CONVEGNO 26 NOVEMBRE 2010 h 15.00

PIOMBINO - HOTEL PHALESIA

COMUNITÀ' EBRAICA : Prof. BRUNO DI PORTO

Proprietario e Direttore "IL TEMPO E L'IDEA" una finestra ebraica sul mondo

Dott. GIANNI ANSELMI

Sindaco di Piombino

Prof. GIANVITO MARTINO

Ordinario Divisione Neuroscienze Istituto Universitario San Raffaele - MI

Prof. LUCIANO EUSEBI

Ordinario Diritto Penale Università Cattolica Milano e Piacenza

Prof. VIRGINIA MESSERINI

Ordinario Diritto Pubblico Università Degli Studi - Pisa

Dott. LUCA PAMPALONI

Autore " Il cuore a sinistra, senza ruota di scorta" Presidente A. VI. - Toscana

MODERATORE : Dott. PAOLO BONGIOANNI

Dirigente Neuroriabilitazione Università di Pisa-Presidente NeuroCare onlus

DIBATTITO

conclusioni: Dott. ENRICO ROSSI

Presidente Regione Toscana

PROMOSSO DALLE ASSOCIAZIONI VITA INDIPENDENTE

ONLUS TOSCANA e VAL DI CORNIA

 

 

Questo Convegno tratta "IL DIRITTO AD UNA VITA DIGNITOSA",riferito alle Persone Disabili Gravissime, sull'esempio di Jean Dominique Bauby, autore "Lo scafandro e la farfalla". Troppo spesso apprendiamo dai quotidiani "Voglio l'eutanasia, non punite mia moglie" dalle pagine del "IL TIRRENO" del 21 luglio 2010.

Invitiamo TUTTI a riflettere sul fatto che la scelta delle Persone Disabili Gravissime, tra l'accettazione della propria disabilità e/o la fuga da una vita terribile, non più DEGNA di essere vissuta, è fortemente condizionata dalla percezione della Persona Disabile in rapporto alle attenzioni, all'affetto, alle relazioni umane, alle CONCRETE FORME DI ASSISTENZA, CONTRIBUTI ECONOMICI e quant'altro questa Società sia disposta ad erogare loro.

Purtroppo nell'attuale crisi economica e politica, il drammatico disagio sociale di queste Persone Disabili e dei loro familiari, sembra non essere percepito, come problema prioritario, da chi non ne sia direttamente coinvolto. Ne consegue , che questi casi non numerosi, se non trovano adeguata visibilità mediatica ( caso Fogar, Borgonovo ) restano "Senza Voce". Da qui l'idea e l'esigenza del Convegno "IL DIRITTO AD UNA VITA DIGNITOSA", dove "Vita Dignitosa" esprime la richiesta di CONCRETE FORME DI ASSISTENZA, CONTRIBUTI, relazioni umane e quant'altro possa favorire l'accettazione della estrema Disabilità. Non può certo sfuggire, come il valore della DIGNITA'si relazioni con il tema della DISUGUAGLIANZA,della assuefazione ad essere EMARGINATI, nella tristissima definizione "Persone Improduttive". Per combattere questo senso di INSICUREZZA, per non lasciare sole queste Persone Disabili Gravissime ed i loro familiari, invitiamo TUTTI ad abbracciare e sostenere la causa della

VITA DIGNITOSA

 


bongioanniIntroduzione : Dott. Paolo Bongioanni
Dirigente Neuroriabilitazione Università di Pisa-Presidente
NeuroCare Onlus

Vi propongo, perché attinente al convegno “Diritto ad una vita dignitosa”, uno stralcio del telegramma del Presidente della Repubblica , onorevole Giorgio Napolitano, inoltrato a favore del Festival del DIRITTO /Piacenza organizzato dal Prof. Rodotà, nello scorso settembre.
Lo propongo a testimonianza delle tematiche che oggi andiamo a trattare.
Riferisce il Presidente Napolitano :
Il vostro Festival,pone cruciali domande strategiche che certo non consentono facili risposte. Tuttavia,tornare a proporre un orizzonte di uguaglianza, riportare nel dibattito pubblico l’obiettivo di contrastare pesanti disuguaglianze, costituisce di per sé, un risultato degno di nota.
Lo è in particolare, in un periodo storico, nel quale in molti luoghi ed ambienti, a vari livelli, sembra affermarsi una cultura diffusa che accetta vistose disuguaglianze di reddito e giuridiche.
Tuttavia, tornare a proporre un orizzonte di uguaglianza, riportare nel dibattito pubblico , l’obiettivo di contrastare pesanti disuguaglianze, costituisce di per sé, un risultato degno di nota.
Lo è in particolare, in un periodo storico, nel quale in molti luoghi e ambienti, a vari livelli, sembra affermarsi, come voi stessi segnalate e come noi evidenziamo oggi, una cultura diffusa, che accetta vistose disuguaglianze di reddito e di potere.
Il gusto dell’uguaglianza, il fastidio per le disuguaglianze immeritate,prima ancora che nell’agenda politica, dovrebbe tornare negli animi dei cittadini.
Penso ad un tema che mi sta molto a cuore : Il DIRITTO DEI DISABILI
ad avere quanto più possibile , uguale accesso ad una vita normale.

GIORGIO NAPOLITANO



giustiMons. Simone Giusti
Vescovo di Livorno

Tutti hanno diritto ad una vita dignitosa! Il titolo di questo convegno non è un invito, è una verità dalla quale nessuno può prescindere.
La scienza e la tecnologia oggi permettono passi da gigante, nel garantire una vita più lunga, nel curare malattie che fino a qualche decennio fa sembrava impensabile poter curare, mi chiedo perché questa stessa scienza non possa essere d'aiuto nell'attuare una più qualificata assistenza sociale e sanitaria soddisfacendo le varie istanze ed esigenze dei disabili. Se in questo campo molto è stato fatto pur tra difficoltà e ostacoli, molto resta ancora da fare perché siano definitivamente superate le barriere culturali, sociali e architettoniche che impediscono ai disabili il soddisfacimento delle loro legittime aspirazioni.
Occorre far in modo che essi possano sentirsi a pieno diritto accolti nella comunità civile, essendo loro accordate l'effettiva opportunità di svolgere un ruolo attivo nella famiglia, nella società e nella Chiesa.
Non basta quindi un'assistenza discrezionale affidata alla generosità di alcuni; è necessario che vi sia il coinvolgimento responsabile, a vari livelli, dei componenti dell'intera comunità.
Ogni persona umana - la legislazione internazionale lo riconosce chiaramente - è soggetto di diritti fondamentali che sono inalienabili, inviolabili e indivisibili. Ogni persona: quindi anche il disabile. Questi, tuttavia, a causa del suo handicap, può incontrare particolari difficoltà nell'esercizio concreto di tali diritti. Ha perciò bisogno di non essere lasciato solo.
«Nessuno — affermava Giovanni Paolo II nell'anno giubilare - meglio del cristiano è in grado di capire il dovere di un simile intervento altruistico. Come ricorda san Paolo, parlando della Chiesa, Corpo mistico di Cristo, "se un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui" (l Cor 12,26).
Questa rivelazione illumina dall'alto anche la società umana e fa capire che, all'interno delle strutture, la solidarietà dev'essere il vero criterio regolatore dei rapporti fra individui e gruppi. L'uomo, ogni essere umano, è degno sempre del massimo rispetto e ha il diritto di esprimere appieno la propria dignità di persona.
In tale ottica la famiglia, lo Stato, la Chiesa - ciascuna entità nell'ambito della propria natura e dei propri compiti - sono chiamate a riscoprire la grandezza dell'uomo e il valore della sofferenza, "presente nel mondo per sprigionare amore...per trasformare tutta la civiltà umana nella civiltà dell'amore" (Salvifici
doloris, 30). Alla famiglia, allo Stato e alla Chiesa - strutture portanti dell'umana convivenza - è domandato un peculiare contributo, perché si sviluppi la cultura della solidarietà e perché i portatori di handicap possano divenire autentici e liberi protagonisti della loro esistenza».
«La famiglia, anzitutto, che è il santuario dell'amore e della comprensione è chiamata a condividere più di ogni altro la condizione dei più deboli, a riscoprire il proprio ruolo determinante nella formazione del disabile, in vista del suo recupero fisico e spirituale e del suo effettivo inserimento sociale. Essa costituisce il luogo naturale della sua maturazione e della sua crescita armoniosa verso quell'equilibrio personale e affettivo che risulta indispensabile per l'instaurazione di adeguati contatti e rapporti con gli altri.
Ma un compito ugualmente importante spetta allo Stato, il quale misura il proprio livello di civiltà sul metro del rispetto con cui sa circondare i più deboli tra i componenti della società. Tale rispetto deve esprimersi nell'elaborare e nell'offrire strategie di prevenzione e di riabilitazione, nel ricercare e nell'attuare tutti i possibili percorsi di recupero e di crescita umana, nel promuovere l'integrazione comunitaria nel pieno rispetto della dignità della persona, favorendo nel disabile "la partecipazione alla vita della società in tutte le sue dimensioni e a tutti i livelli accessibili alle sue capacità: famiglia, scuola, lavoro, comunità sociale, politica, religiosa".
Anche la Chiesa ha il dovere e diritto di intervenire in questa delicata materia perché, guidata dall'esempio e dall'insegnamento del suo Signore, non deve mai cessare di prodigarsi al servizio dei più deboli. Questa attenzione a chi è nel bisogno deve sempre più coinvolgere l'intera comunità ecclesiale, così che ciascuno, e in particolare, il soggetto in difficoltà, possa trovare piena integrazione nella vita della famiglia dei credenti.
Mi piace concludere questo breve intervento con un saluto a tutti coloro che vivono la disabilità, un saluto che vuol essere il mio attestato di solidarietà ed un incoraggiamento a continuare a lottare per i propri diritti, ma che vuol essere anche espressione di affetto sincero.
È il saluto che Giovanni Paolo II rivolse ai disabili qualche anno fa in occasione di un convegno e che io condivido profondamente: «Voi siete membra del Corpo di Cristo: il corpo del Risorto! Contiamo su di voi per insegnare al mondo intero che cos'è l'amore!»


Messaggio trasmesso dall’on. Pier Ferdinando Casini
ex-Presidente della Camera

Non potendo partecipare personalmente,desidero comunque far giungere un mio messaggio e la mia vicinanza agli organizzatori di questo importante Convegno.
Un’iniziativa meritevole, alla quale mi auguro ne seguiranno altre dello stesso segno.Tutti hanno diritto ad una vita dignitosa, anche,ovviamente i disabili gravissimi i quali, oltretutto, hanno anche il diritto di chiedere allo Stato gli strumenti ed il sostegno necessario a far fronte alle loro difficoltà.
Sono ancora molti, però, i passi che devono essere compiuti. L’Italia è ancora troppo indietro nell’assistenza alle Persone con disabilità ed il sistema collasserebbe senza il fondamentale contributo delle famiglie, delle associazioni no-profit e degli istituti religiosi.
Tuttavia,pur in questo quadro di estrema difficoltà, che aggiunge alle sofferenze i disagi, sono tanti i disabili anche gravissimi che vogliono vivere, assistiti con amore e dedizione dai loro cari.I mass media, la stampa,la televisione non possono ignorare questa realtà, queste esperienze umane.La televisione pubblica in particolare,non può dare spazio a chi parla di eutanasia. Una pratica che, è bene ricordarlo,è vietata dalla legge - negandolo alle voci in difesa della vita ,a qualcuno che racconti agli Italiani cosa significhi assistere un disabile,credendo ancora nella Vita.
Nel ringraziare ancora gli organizzatori e tutti gli intervenuti,invio il mio saluto più cordiale,unito ad un sincero augurio di buon lavoro

Pier Ferdinando Casini



di portoIntervento Prof. Bruno Di Porto
Proprietario e Direttore de “IL TEMPO E L’IDEA” una finestra ebraica sul mondo

Presentiamo il Professor Bruno Di Porto, Professor dell’Università di Pisa, Direttore della rivista “IL TEMPO E L’IDEA” una finestra ebraica sul mondo, un quindicinale di attualità e cultura.

Buonasera. Il Professor Enzo Orlando mi ha gentilmente invitato al convegno che si terrà in Piombino, convegno che promuove l’istanza di una vita dignitosa, in particolare per persone con gravi disabilità. Dare una dignità a queste persone, e indubbiamente la dignità è intrinseca già in loro, si tratta di riconoscere da parte della società questa dignità e di promuovere il maggiore benessere possibile nelle condizioni difficili in cui si trovano, e mi ha trovato naturalmente partecipe, doverosamente partecipe; purtroppo per impegni già presi, i molti impegni dei prossimi giorni non potrò essere presente, ma sono ben lieto di porgere questo cordiale e solidale saluto. Ci vuol poco a rendersi conto dei problemi delle persone con disabilità, con gravi disabilità, dei problemi delle loro famiglie, immagino questa lotta quotidiana della vita di queste persone e delle loro famiglie, una vita che acquista e reclama dignità in ragione delle difficoltà che si trova ogni giorno a dover affrontare e a dover superare; come non rendersi conto di questo e come non porsi in rapporto con questo. I problemi sono tanti immagino, e pur non avendo io conoscenza precisa, però penso che siano problemi di diverso ordine: assistenziale e previdenziale da parte degli istituti a questo preposti, e questo è un elemento fondamentale, quindi il fattore del sostentamento, degli aiuti alle famiglie, leggi, c’è tutta una normativa al riguardo, vorrei, non so se è così, che nel sostegno dato alle disabilità si sceverassero le disabilità più gravi rispetto alle disabilità minori, meno gravi. La scienza, la medicina sono le grandi risorse nelle quali tutti speriamo, riconosco la mia pochezza di intellettuale nel campo umanistico, storico di fronte a quello che noi ci attendiamo dalla scienza con i suoi progressi che cerco di seguire, per esempio mi interessano molto le letture di bionica, è qualcosa che potrebbe sopperire in prospettive future per ridare slancio, per ridare funzionalità ad organi, ad arti di persone che li hanno gravemente compromessi; un altro settore che mi si faceva presente è quello della comunicazione, quello di porle in rapporto, di porle in comunicazione con la società, con la conoscenza, con i media, ora viviamo in un’epoca di grande incremento della comunicazione, fin troppo, siamo tutti al corrente di questo, ed allora si potrebbe dire “La comunicazione ci sta, cerchino di mettersi in contatto”, però penso che ci vogliono delle strategie apposite, delle strategie peculiari, e qui sono necessarie tante competenze: tecnologiche, tecnologie della comunicazione, con speciale riguardo alle condizioni di queste persone, competenze psicologiche, la psicologia è di grande importanza, competenze mediologiche, cercare i media adatti da porgere alla comunicazione, all’informazione con queste persone, e si devono mobilitare anche le agenzie di valori etici”, agenzie di valori morali e sociali. Queste agenzie possono essere di tanti tipi, si tratta appunto di accostarle, come è stato fatto questa sera con me in quanto persona intellettuale e di cultura ebraica, e le culture sono diverse, sono tante e possono tutte convergere in un modo armonico verso questo grande compito di assistere e di coinvolgere le persone con disabilità e le loro famiglie, verso le quali sento di dover esprimere un’ammirazione, una gratitudine perché sono il primo usbergo come oggi si dice, la famiglia è il grande riparo nella crisi economica, riparo dei giovani, riparo di soggetti più vulnerabili. Tra queste agenzie di valori morali indubbiamente ci possono essere le culture religiose, le comunità religiose, perché la religione, il senso religioso ha molto da dire. Il senso religioso ha anzitutto una grande reputazione della vita, una connaturata valorizzazione nella vita come dono di Dio, come espressione dell’essere, e nel tempo stesso il senso religioso ha una connaturata cognizione del dolore, cognizione della sofferenza, cognizione delle cadute dell’uomo, cadute che possono essere per colpa o possono essere invece per afflizione dell’innocente, se andiamo alla Bibbia è il Libro di Giove. Sono tante queste cadute, pensate nel Libro di Ester la figura di Noemi, questa donna che parte con il marito e con i due figli e perde il marito, perde i due figli, si ritrova sola, il rapporto con le nuore, insomma la caduta umana, la caduta nell’afflizione, la perdita di quello che aveva, perdita non solo economica di quello che aveva o politica di quello che aveva, ma siamo in presenza, affrontando questa problematica delle disabilità, della perdita motoria, perdita delle facoltà fisiche che l’uomo aveva, di cui l’uomo normalmente dispone, e la (parola incomprensibile) è una condizione di vulnerabilità, una condizione di debolezza, una condizione molto molto particolare, condizione in cui però si mostra la reattività umana, reattività che è o spontanea o è da promuovere perché certo è facile allo sconforto in queste condizioni, ed allora ecco che il senso religioso può anche aiutare a suscitarlo dove non c’è, può aiutare a confermarlo dove c’è, può aiutare ad alimentarlo giornalmente perché ha bisogno di essere normalmente, anche quotidianamente stimolato, ciascuno di noi… mi accade che mi alzo la mattina e faccio un discorso a me stesso: “Oggi è l’08 novembre, che farai l’08 novembre? Abbi coraggio per affrontare le piccole difficoltà che puoi incontrare oggi per arrivare a sera, avendo fatto quello che ti proponevi o qualcosa di più di quello che ti proponevi”, quindi questo senso della stimolazione morale e psicologica di cui la religione è dotata, il senso religioso è dotato di questo. Poi il senso religioso, la religione da’ un’altra cosa: la sublimazione in condizione di difficoltà, in condizione di sofferenza, la capacità di rovesciare in positivo le negatività che ci affliggono, le negatività nelle quali noi ci troviamo, di cambiare noi stessi in meglio anche partendo, e proprio appunto partendo dalle difficoltà, tramutare le negatività in positività, nella luce dell’essere, del contatto con la fonte primigenia dell’essere, la sublimazione, l’elevazione dell’animo.
Tutto questo non è scontato, tutto questo non è affatto facile e dobbiamo guardarci dal suggerirlo con facile retorica. Non è affatto facile, si tratta di saper comunicare con il soggetto tutto questo, di richiamarlo alla fiducia, di richiamarlo alla tolleranza del male, in ebraico c’è una sola parola “sorlamut”, che indica la sofferenza, che indica la pazienza. Chiedere pazienza al sofferente, chiedere non solo pazienza ma coraggio al sofferente, nel linguaggio ospedaliero si configura come “paziente” quello che entra in ospedale, e il paziente sembra appunto in condizione di passività di fronte all’uomo sano o di fronte al medico che lo cura, è l’oggetto della cura, ma a ben guardare invece si richiede molto proprio al paziente. Il paziente deve cooperare per il proprio recupero, per la propria guarigione, c’è una grande importanza della reattività psicologica, e il senso religioso può aiutare appunto nell’esercizio di questa reattività.
La condizione del disabile, del grave disabile è una condizione umana di frontiera, e di condizioni umane di frontiera ce ne sono molte, a questo proposito mi viene in mente l’uomo al limite, e vorrei concludere questo messaggio con la lettura di versetti del salmo VIII, il salmo della dignità dell’uomo, il salmo dello stupore per la considerazione che Dio ha di un essere così scarso di fronte a lui, quale è l’uomo. Il salmo VIII dice infatti in questa parte saliente che citerò “Oh Signore, nostro Signore, come è potente il tuo nome su tutta la terra, tu che hai fatto apparire la tua maestà sui cieli. Quando io vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu mi hai disposto esclamo: ma che cosa è l’uomo, che tu lo ricordi? E’ l’essere umano perché tu ne tenga conto”.
Seguitando vorrei commentare il salmo con un’esigesi perfino critica, aggiungere qualcosa: il salmo seguita dicendo “Eppure tu lo hai reso solo di poco inferiore agli esseri divini, lo hai circondato di onori e di gloria, lo fai dominare sulle opere delle tue mani, tutto hai messo ai suoi piedi, il bestiame minuto e quello grosso, tutti, anche le pietre della campagna, gli uccelli del cielo, i pesci del mare”. In questa situazione, riferendoci alle persone con disabilità, con gravi disabilità, questo trionfalismo nel salmo non si addice più, non c’è un domini, c’è piuttosto un dominio su sé stessi, no sugli altri, no sulla realtà, no sul resto del mondo, l’uomo in questa condizione così al limite e di frontiera reagisce per sopravvivere, reagisce per continuare a vivere con fiducia, allora modifichiamo il salmo, la cultura ebraica è molto abituata al ragionamento sui testi, all’adattamento del testo a nuove situazioni, e in questa situazione allora diciamo “Eppure tu che cosa gli dai all’uomo, che è in partenza così caduco, così gracile, in particolare poi nella condizione di disabilità? Che cosa gli dai? Gli dai ancora il senso della vita, il senso della ripresa, il senso del recupero, gli dai un’assistenza, una irradiazione di energia, della tua energia come un raggio che parte dal sole che arriva a riscaldare”. La persona con disabilità, la persona così afflitta potrebbe anche pensare “Ma io non lo sento, ma io non lo vedo, come mi si dimostra?” E’ la domanda di Giove al Signore. La risposta è ardua, la risposta che il credente può dare a questa domanda è molto ardua, ma una risposta può essere “Sentilo nell’interiorità profonda, sentilo nei beni che ancora hai – dicevo in particolare per esempio la famiglia – e sentilo nei messi che il Signore ti manda”. I messi che il Signore ti manda… una volta si credeva molto negli angeli, l’angelologia, e gli angeli… mi ha sempre conquistato molto il pensiero degli angeli, quella parte della teologia che si chiama “angelologia”, oggi li vediamo di meno gli angeli, gli angeli con le ali, gli angeli che scendono dal cielo, ma forse possiamo identificare l’angelo nella persona di sensibilità, nella persona di cuore, nella persona capace di condividere, nella persona che sente l’armonia del tutto, che sente l’interdipendenza profonda, che quindi è capace di entrare nell’atmosfera di questo grave e forte problema. Grazie.

 


Introduzione Prof. Massimo TOSCHI
Consigliere speciale nominato dal Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi per i problemi delle persone disabili nella Regione Toscana
Grazie, io mi scuso, porto il saluto del Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, ma devo essere a Firenze alle 17.30, però ho voluto in tutti i modi essere presente qua innanzitutto per le mie responsabilità di Consigliere speciale del Presidente Rossi per i diritti delle persone disabili, e ovviamente le persone disabili in più grande difficoltà, e che dunque chiedono il pieno dispiegamento dei diritti sono le persone disabili in situazioni acute diciamo così, noi non partiamo dalle lobby dei disabili, pensate agli invalidi civili, ai ciechi, ai sordi, sono tutte associazioni che hanno un grande peso, e ovviamente è giusto che l’abbiano, però non possiamo dimenticare, anzi, bisogna partire da quelli in situazione più acuta, perché solo se si includono non si esclude nessuno. Qual è il punto vero? – e in qualche modo lo sentivamo nelle parole del Presidente Napolitano – E’ che se non si rimuovono gli ostacoli ad una vita degna, anche per i disabili, la Costituzione Italiana non è applicata, la Costituzione Italiana è sotto scacco, perché all’articolo 2 e 3 si parla esattamente di rimuovere gli ostacoli che impediscono, allora la partita – capite – non è una partita “Poverini!”, dei poverini non ci interessa nulla, ma è una partita sulla Costituzione e su ciò che unisce questo Paese. Per cui è una grandissima partita quella che noi giochiamo oggi, questo convegno mi pare di grandissimo interesse perché non è un problema residuale, non è un problema di contentare qualcuno con qualche fondo dato qua e là, e vorrei che anche la politica e i politici quando parlando di queste cose lo facessero con “timore, tremore e pudore” perché non si può usare della sofferenza delle persone, non la si può usare, ma si deve usare tutto il nostro potere per rendere le persone libere. Vi potrei citare delle cose pirotecniche sulla questione dei disabili, ma non lo faccio.
Un’ultima cosa vorrei dire, poi vi saluto e il Professor Bongioanni poi mi farà avere gli atti di questo convegno che mi pare di grandissimo interesse perché c’è bisogno di cambiare mentalità e cultura se vogliamo una vita degna per tutti, dunque per i disabili, dunque per i disabili più acuti. Io faccio un appello: non dividiamo il Paese tra il partito della vita e il partito della morte, facciamo un Paese che si impegni perché i vivi possano vivere degnamente, perché se ci mettiamo gli elmetti e le divise questo Paese non si agguanta più da nessuna parte, e i primi a pagarne le spese sono esattamente i disabili. A me ha fatto piacere la lettera dell’Onorevole Casini, però ricordo solamente che l’Onorevole Casini è stato Presidente della Camera e quando io sono andato alla Camera c’erano ancora le barriere architettoniche e gli scalini, allora quando si parla di queste cose bisogna parlarne chiedendo perdono per le nostre responsabilità, essendo disponibili a cambiare mentalità, non possiamo fare sconti a nessuno, a nessuno. Questa è la grande sfida, questa diventa davvero la grande politica. Io ringrazio chi ha promosso questo convegno, le associazioni, i relatori, perché c’è il bisogno del contributo di tutti e di ciascuno per un cambiamento grande di mentalità e di cultura, nessuno può lucrare sui disabili, i disabili ci insegnano piano piano a cambiare noi, a cambiare la nostra cultura e la nostra politica, per questo sono straordinariamente importanti, per noi, per la nostra regione, per il nostro Paese. Grazie.

 

 

 


Introduzione DOTT. GIANNI ANSELMI
Sindaco del Comune di Piombino
Io intanto condivido la consecutio che è stata concordata, perchè dopo il mio avremo una serie di interventi di natura più tecnica, diciamo portatori di una serie di elementi che danno a questo convegno una collocazione alta. Io ringrazio di essere stato invitato e che mi sia concesso di portare il saluto delle istituzioni cittadine oggi qui in un’iniziativa che, promossa dall’Associazione Vita Indipendente di Piombino, annovera non solo patrocini e contributi importanti, ma l’aspirazione, attraverso appunto il contributo dei relatori che succederanno dopo di me e attraverso il bel contributo del Professor Toschi in rappresentanza del Presidente Rossi, che daranno appunto un taglio e anche un target adeguato alle aspirazioni degli organizzatori. A me fa molto piacere che, in una città dalle forti tradizioni solidaristiche come la nostra, si sia attivato un meccanismo di attenzione intorno a questa associazione, intorno alle vicende che essa vuole porre al centro appunto dell’attenzione dell’opinione pubblica, della cittadinanza, delle istituzioni ai vari livelli, a partire da quello locale investito della titolarità dell’assistenza sociale, che noi dispieghiamo nel territorio attraverso l’Azienda Sanitaria Locale, per arrivare a quelle che sono le potestà normative di carattere regionale, ma anche e soprattutto direi di carattere nazionale, perché il tema merita – come diceva giustamente Toschi, ma anche gli interventi scritti che sono stati letti che l’hanno preceduto – un approccio di natura eminentemente politica, e direi trasversalmente politica, e viene giustamente sottolineato quanto questo tema non può essere a pannaggio di qualche perimetro culturale, ma deve essere un patrimonio davvero percepito come un patrimonio collettivo in termini di espansione dei diritti, delle possibilità, delle opportunità, e sono di chi soffre di patologie drammatiche che ne limitano la possibilità di vivere una vita... o di percepire di vivere una vita come quella degli altri. Sono d’accordo anche con le cose che venivano dette circa il fatto che non si tratta di collocarsi semplicemente su una posizione di natura assistenziale, e cioè su una collocazione puramente caritatevole, passatemi il termine, qui si tratta di costruire, di apprestare a dei meccanismi di carattere prima di tutto ordinamentale, accompagnarli con le risorse che servono perché si tratta di scelte che debbono essere accompagnate da adeguati apprestamenti di natura finanziaria, a maggior ragione si tratta della necessità di fare scelte politiche perché viviamo in un tempo di risorse scarse, per cui l’individuazione delle priorità e l’assegnazione delle risorse adeguate alle priorità individuate a maggior ragione richiede uno sforzo di selezione di natura politica. Non ci si deve collocare – dicevo – semplicemente su una posizione di accompagnamento assistenziale delle persone, che pure ne hanno bisogno, ma l’obiettivo deve essere ulteriore, cioè quello di, attraverso queste servizi, consentire loro di dispiegare efficacemente quella che è la loro voglia di vivere la vita in termini pieni, di esprimere se stessi, di sentirsi protagonisti centrali della propria esistenza e di non considerarsi un elemento marginale sopportato dalla società.
C’è anche un elemento ulteriore, Toschi ha parlato poco, ma ha toccato tutti i punti che anche io avrei voluto tratteggiare, e provo a farlo con minor efficacia della sua, perchè condivido anche il fatto che c’è una unicità di punti di vista, che è quella impareggiabile, delle persone che soffrono in determinate situazioni delle loro famiglie, per cui l’invocazione del profilo basso di chi non vive quelle situazioni, se non per ruolo, per funzione, per attribuzione istituzionale, persino per competenza o per passione, non si può mai arrivare a pensare di comprendere appieno quale sia la situazione che tocca le persone e le famiglie che ne sono coinvolte, ma proprio questo deve spingere al fatto che partendo da una visione umile della funzione delle istituzioni, della politica, non si debba nello stesso tempo pensare di avere un atteggiamento soffice rispetto a questi temi, cioè è la sobrietà dell’approccio che ci deve essere, ma che non deve nulla togliere all’intensità con cui si cerca di perseguire l’obiettivo politico. Allora io dico che da un punto di vista locale noi possiamo, e stiamo facendo da tempo delle riflessioni con i nostri servizi per capire, posto che c’è una normativa di carattere regionale che prevede dei servizi e delle erogazioni standard per le famiglie, per i soggetti che soffrono per natura o per ventura di determinate sofferenze, determinate circostanze, noi dobbiamo capire da un lato come si razionalizzano meglio queste risorse sul terreno locale, definendo operazioni crescentemente adeguate o personalizzate in funzione delle specifiche situazioni dei soggetti che ne hanno diritto, potenzialmente o effettivamente, questo per non disperdere le risorse e per dare le cose che servono a chi ne ha bisogno nella misura giusta, in termini finanziari e in termini di proporzionalità e appropriatezza dei servizi, perché non tutti i disabili sono disabili alla stessa maniera; dall’altro lato capire qui sul terreno politico dell’azione istituzionale, dell’azione politica, dello stimolo nei confronti dei livelli competenti perché c’è la Regione e c’è un Parlamento. Una delle poche cose che condivido delle ultime scelte sulle manovre del Governo è il fatto che sia stato dato un segnale sulle SLA - e chi lavora intorno a queste cose sa che è stato previsto un adeguamento di quei fondi - ma non ci sono solo le SLA, in particolar modo le SLA più gravi, la SLA è una malattia drammaticamente progressiva come noto, ma ci sono altre forme che meritano un’adeguata attenzione, e che non sono adeguatamente coperte dalle normative, né regionali, né nazionali, e su questo si deve riuscire a poter intervenire, anche animando un dibattito locale, sollecitando le istituzioni a partire da questo livello, anche quelle che non sono direttamente investite di prerogative normative perché i comuni possono approvare ordini del giorno, ma come minimo è la Regione che ha competenze di questa natura. Per cui a me fa piacere che anche l’Associazione Vita Indipendente si aggiunga allo splendido mosaico sociale e associativo che già riempie di sé la vita della nostra comunità aiutandoci e anche colmando le nostre lacune vuoi sui servizi, vuoi sull’accessibilità dei luoghi pubblici, vuoi sulle possibilità che diamo alle persone afflitte dalla disabilità fisica o mentale di esprimere il meglio di sé nella vita di tutti i giorni, nella vita di relazione, nelle scuole, negli uffici, e mi fa particolarmente piacere che questa iniziativa - che credo sia la prima di questo livello, e mi fa piacere che già se ne programmi un’altra – parta con questo tipo di partecipazione. Si fanno molte cose a Piombino, molte iniziative da parte di tanti soggetti: istituzionali, associativi, privati, ma non sempre c’è l’attenzione che è stata dimostrata oggi con la presenza di cittadini, rappresentanti del mondo della chiesa, forze dell’ordine, rappresentanti politici, del mondo associativo, è una cosa che a me fa molto piacere come Sindaco della città, della quale ringrazio chi ha promosso l’iniziativa, soprattutto i cittadini che hanno sentito di volerne far parte, credo che questo è il Paese nel quale si dice “Per qualsiasi cosa c’è sempre molta strada da fare”, è stato detto su tutte le cose fondamentali che la Costituzione non è ancora riuscita ad assicurare nella Costituzione effettiva, non parlo della Costituzione scritta in modo così lungimirante dai padri ormai oltre 60 anni fa, ci sono tantissime cose fondamentali delle quali si dice “C’è sempre tanta strada da fare”, penso alle opportunità per le donne, al federalismo e a tanti altri aspetti che nella Costituzione sono conclamati, ma che non trovano attuazione nella vita reale. Io penso che su quelle tante cose la politica e le istituzioni, che non sono una cosa a sé stante rispetto alle comunità che rappresentano o che danno loro vita, debbono esplicitare un lavoro selettivo, quindi fare scelte. Quello che ci si invita a fare è stabilire e mettere in fila le cose che consideriamo più importanti, e questo rappresenta per noi una sfida sul piano locale, sul piano operativo, ma per tutti noi ne rappresenta un’altra su un terreno più generale, cioè quello di chiedere ai legislatori regionali e nazionali che venga messa in campo davvero un’azione convinta, e che non si limiti a un’ostensione di sé nei momenti critici da parte di chi rappresenta e chi ha davvero le leve per cambiare le cose e migliorare le condizioni di vita di tante persone.
Questo volevo dire, ringraziando anche i relatori illustri che mi seguiranno, ma soprattutto di nuovo l’associazione, mi spiace solo che non sia stato - ho provato ad invitarlo anche io dal Comune - presente il Presidente Rossi, ma oggi ha un impegno di Giunta, noi confidiamo… lui ha già dimostrato con i provvedimenti sulla non autosufficienza e sulla vita indipendente, la Toscana è stata una fra le regioni che hanno dato alcuni importanti segnali da questo punto di vista, non unica per la verità, ma alcuni importanti segnali da questo punto di vista, e io penso che il Presidente, anche per le sue vicende precedenti, ha tutto l’arsenale culturale e intellettuale, e anche la volontà politica di essere corrispondente a questo tipo di stimoli, quindi buon lavoro per il convegno e grazie di nuovo a tutti.


Intervento Prof. GIANVITO MARTINO
Direttore della Divisione di Neuroscienze dell’Istituto Scientifico Universitario San Raffaele di Milano
Grazie a te dell’introduzione.
Io sono molto felice di essere qua, però devo dire che sono qua perché qualche mese fa ho avuto la fortuna, il privilegio di conoscere Roberto che è venuto a trovarmi, ci siamo scambiati delle e-mail. Ad un certo punto lui ha deciso che io in qualche modo potevo essergli utile per spiegargli come era il panorama internazionale legato alle terapie con le cellule staminali e mi ha fatto l’onore di venirmi a trovare, io sono stato felice, emozionato, sono tuttora emozionato perché ho trovato in lui una persona come ce ne sono poche, forse le sue gambe, le sue braccia non funzionano, fa fatica a parlare, ma quello che comunica, a prescindere diciamo dalla fisicità che può usare per comunicare o meno, va ben aldilà di quello che probabilmente io, ma tanti di noi siamo in grado di comunicare, quindi avendo avuto questo piacere, questo privilegio ho ritenuto assolutamente necessario ricambiargli la visita, venire io a casa sua e raccontarvi qualcosa sulle cellule staminali che forse credo sia giusto discutere in questi contesti. Perché è giusto discutere? Perché, e in questo senso vi do’ alcune informazioni numeriche, perché chi fa scienza deve stare ai numeri diciamo così in qualche modo, e nel 2007 sono stati 750.000 gli americani che sono andati fuori dagli Stati Uniti per fare questi cosiddetti “viaggi della speranza”; nel 2010 sono stati 6 milioni per un giro d’affari che sembra sia attorno ai 40 – 60 miliardi di dollari, quindi questo vuol dire che i medici, gli scienziati, chi si occupa di questi problemi non è in grado di soddisfare le richieste che i malati fanno, quindi i malati credono, pensano o si rivolgono a situazioni secondo me abbastanza complesse, che magari cercherò di raccontarvi nel breve, perché credono e sperano che aldilà della medicina diciamo tradizionale ci sia qualcosa di più. Da questo punto di vista le cellule staminali per ovvie ragioni sono diventate diciamo in qualche modo il “cavallo di battaglia” dei viaggi della speranza, sono l’argomento principale dei viaggi della speranza, e nel mondo si sono create una serie di realtà, più o meno diciamo legali o più o meno ufficiali, che contrabbandano l’utilizzo di cellule staminali per tutto e per tutti, si va dalla calvizie alle forme più gravi di malattie neurologiche, magari utilizzando le stesse cellule, gli stessi tipi di trattamento, ovviamente a pagamento e ovviamente senza un controllo sanitario adeguato. Perché questo è successo? E’ successo per una serie di ragioni concrete, reali, perché di solito queste situazioni non si vengono a creare diciamo così dal nulla, ed è successo perché ad un certo punto si è scoperto - e mi permetto anche qua di darvi due o tre informazioni – che in tutti gli organi del nostro corpo, cervello compreso, ci sono delle cellule, appunto le cellule staminali, che sono in grado, nel momento in cui qualche cellula si danneggia, di crescere in numero, di dividersi, di proliferare come si dice in termini tecnici, e di andare a rimpiazzare le cellule che sono state perse. Il nostro corpo è fatto di 100.000 miliardi di cellule, dovete prendere un 1 e aggiungerci 14 zeri, e ogni secondo noi produciamo 25 milioni di nuove cellule, in un giorno produciamo mezzo miliardo di cellule della pelle, 50.000 cellule del cervello, ogni secondo produciamo 2 milioni e mezzo di globuli rossi. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che noi per vivere dobbiamo continuamente rigenerare il nostro patrimonio cellulare, noi cambiamo il nostro scheletro in tre mesi, cambiamo ogni 28 giorni la nostra pelle, addirittura si pensa che cambiamo tutti gli atomi del nostro corpo in circa dieci anni. Quindi se noi non rigeneriamo, non cambiamo le nostre cellule in tutti i nostri organi non possiamo sopravvivere.
Questo è il primo punto. Come facciamo a rigenerarci? Quali sono le strutture o le entità che ci permettono questa straordinaria capacità rigenerativa? Sono le cellule staminali, che a differenza delle altre cellule invecchiano meno diciamo così, hanno più capacità di proliferare, di duplicarsi, di crescere, di conseguenza sono sostanzialmente l’officina di manutenzione del nostro organismo. Fino a qualche anno fa si pensava appunto che queste cellule ci fossero solo in alcune aree, per esempio nell’embrione, come è ovvio che sia, perché noi partiamo da 1 cellula e diventiamo appunto 100.000 miliardi di cellule, e adesso noi sappiamo che invece queste cellule ci sono anche nell’adulto, ci sono in tutti i tessuti, quindi non solo siamo riusciti a capire che ci sono in tutti tessuti, ma siamo riusciti anche a isolarle, cioè a identificarle, a tirarle fuori dai veri tessuti, in laboratorio a moltiplicarle all’ennesima potenza, quindi è ovvio che è nata la necessità o la conseguenza rispetto a questo di poterle trapiantare. L’idea era: visto che queste cellule sono in grado di rimpiazzare, di mantenere un organismo, un organo, allora a questo punto le prendiamo, le trapiantiamo dentro qualsivoglia organo e risolviamo i problemi: ricostruiamo il cervello, il cuore, la pelle e così via. Effettivamente qualcosa siamo riusciti a fare, nel senso che la pelle si ricostruisce, per esempio centinaia di migliaia all’anno di grandi ustionati vengono ricoperti di pelle nuova e riescono a sopravvivere proprio perché utilizzando le cellule staminali della pelle si riescono a costruire lembi enormi di pelle che possono essere trapiantati. La stessa cosa avviene per la cornea, già si utilizzano cellule staminali della cornea per ricostruire cornee che vengono perse per esempio per ustioni e quant’altro; si riesce a rifare il sangue, il trapianto di midollo osseo che tutti conosciamo è un trapianto di cellule staminali del sangue, e se ne fanno anche qua centinaia di migliaia di trapianti all’anno; si riesce a ricostruire piccoli pezzettini di ossa facendo dei miscugli, delle cose strane con alcune cellule del sangue particolari che si chiamano staminali mesenchimali, quindi qualcosa si riesce a fare, però questo qualcosa che si riesce a fare è ancora ovviamente limitato a una serie di patologie specifiche: tumori del sangue, i grandi ustionati, i problemi legati ai danni alla cornea, quello che non si riesce ancora a fare è di ricostruire strutture più complicate. Quindi più semplice è una struttura - la pelle ovviamente è semplice, il sangue è semplice - più facile è ricostruirla o rigenerarla, più complicata è una struttura più difficile è rigenerarla. Il cervello da questo punto di vista è in assoluto la struttura più complicata, sono circa 100 – 200 miliardi le cellule del cervello, ma ogni cellula del cervello contatta circa 20 – 30 mila altre cellule, forma delle reti che sono molto complicate, quindi è difficile pensare che sostituendo una cellula anche la rete che questa cellula in qualche modo determina venga sostituita, è questa la cosa più difficile. Oltretutto le cellule staminali del cervello sono difficili da identificare, da isolare, da crescere, infatti per ora usiamo solo quelle dei feti e non possiamo usare cellule staminali adulte, quindi non possiamo trapiantare nello stesso paziente le sue stesse cellule, e se trapiantiamo quelle dei feti ovviamente andiamo incontro a problemi di compatibilità, quindi queste cellule possono venire rigettate. Detto ciò però anche le cellule del cervello si iniziano a trapiantare in questo momento nelle persone, ci sono 6 bambini negli Stati Uniti con delle malattie molto gravi ereditarie che non sviluppano diciamo così il cervello in maniera adeguata, che sono stati già trapiantati con queste cellule staminali del cervello e stiamo aspettando i primi risultati, però siamo ancora veramente all’inizio, quindi tutto il resto, tutto quello che sentite al di fuori delle cose che io vi ho raccontato sono diciamo così trattamenti non adeguati. “Non adeguati” cosa vuol dire? Che sono trattamenti particolarmente rischiosi, e sono soprattutto finalizzati al profitto e non alla cura, al profitto perché ogni trapianto costa da 5 ai 30 mila dollari, e soprattutto non finalizzati alla cura perché non ci sono dimostrazioni reali confermate, riprodotte e riproducibili che possono funzionare, ma a prescindere da ciò, la cosa più importante è che sono molto pericolosi, infatti negli ultimi tempi iniziano a venire a conoscenza una serie di casi in cui persone sono andate non solo in Cina, in Thailandia, ma anche in Germania o in Olanda, addirittura anche a San Marino, anche in Italia, non ci facciamo mai mancare nulla, che hanno ricevuto queste cellule staminali strane, non controllate e quant’altro che hanno sviluppato tumori come conseguenza del trapianto. Quindi se io dovessi trapiantare una persona con una grave malattia neurologica e magari in qualche modo riuscissi a curare la malattia neurologica, ma contestualmente a generare un tumore è chiaro che non avrei raggiunto l’obiettivo che devo raggiungere. Questo perché? Per due ragioni principali – poi mi fermerei qui e se volete ne possiamo discutere – perché queste cellule staminali proprio perché sono straordinariamente capaci di riprodursi sono molto simili diciamo così alle cellule tumorali. Le cellule tumorali come sapete sono cellule che si riproducono all’infinito, quindi il confino tra una cellula staminale e una cellula tumorale è un confine molto delicato, addirittura adesso si pensa che i tumori stessi siano legati alle cellule staminali che non funzionano adeguatamente, quindi quando noi in laboratorio le coltiviamo, cioè ne produciamo una grossa quantità per poi poterle trapiantare, in qualche modo stimolando queste cellule a duplicarsi, a replicarsi in maniera rapida spingiamo ancora di più l’acceleratore e in qualche modo possono scapparci dal nostro controllo e diventare cellule tumorali. Se non controlliamo bene durante la preparazione di queste cellule se questo avviene o meno corriamo il rischio di iniettare già delle cellule che potenzialmente possono diventare dei tumori.
Il secondo è un aspetto legato alla contaminazione possibile quando si manipolano queste cellule, cioè la contaminazione da parte di agenti infettivi, e quindi se anche qua non controlliamo adeguatamente la manipolazione di queste cellule ovviamente anche in questo caso corriamo il rischio di trapiantare delle cellule che portano con sé degli agenti infettivi e quindi determinano delle infezioni spesso incontrollabili. Quindi per tutelarci da ciò abbiamo creato delle regole molto ferree, in qualche modo anche eccessive, per controllare la preparazione di queste cellule, e proprio perché queste regole sono molto ferree e molto diciamo così particolari i costi di produzione sono enormi adesso, le sperimentazioni sono molto poche perché non tutti riescono a mettere in opera queste procedure di produzione cellulare, di conseguenza i tempi sono automaticamente lenti, lunghi, o non quelli che uno si aspetterebbe, ma questo lo si fa per proteggere il malato e non per allontanare il malato da una possibile cura. Io dico sempre che sarei un pazzo se avessi una cura che so che funziona tra le mani e non la somministrassi, perché non dovrei farlo? Non esistono proprietà intellettuali, soldi, partners, gli scienziati sono tutto tranne che ricchi, avrebbero dovuto fare un altro lavoro se pensassero di guadagnare attraverso la propria ricerca; fanno ricerca perché hanno una finalità diversa, cioè quella di riuscire a migliorare lo stato di salute delle persone. Di conseguenza queste limitazioni fanno sì che noi siamo ancora in una fase in cui dobbiamo capire se le cellule staminali, una volta somministrate, qualsivoglia, sono sicure; nel momento in cui dimostreremo che sono sicure potremo anche pensare di provare ad usarle e provare a vedere se sono efficaci. Quindi ci vuole ancora tempo, mi spiace dirlo ma ci vuole ancora tempo, rispetto a 10 anni fa quando ho iniziato io siamo andati avanti straordinariamente, le cellule staminali del cervello sono state scoperte nel 2000, quindi in dieci anni abbiamo fatto già passi da gigante; le cellule staminali del sangue che usiamo nei trapianti di midollo sono state scoperte a fine ‘800, ci sono voluti 80 anni affinché dalla scoperta della cellula si arrivasse alla terapia, in questo caso al trapianto di midollo osseo. Quindi ci vuole un pochino di pazienza, ma le cose sono partite, sono iniziate, i primi trapianti si stanno facendo, i risultati sono assolutamente dignitosi, sembra che queste cellule realmente si possono trapiantare, dire che cosa faranno o quanto saranno utili non lo so, sicuramente non sono la panacea o tutto quello che ci aspettiamo siano, non cureranno e non guariranno tutte le malattie del mondo, su questo sono sicuro, ma di sicuro saranno una possibilità terapeutica in più che potremo avere solo se saremo in grado di gestirne diciamo così dal punto di vista scientifico la loro sperimentazione; se invece continueremo a usarle o le useremo sempre di più in maniera banditesca corriamo il rischio di creare gravi problemi, cioè di creare appunto incidenti di percorso che non solo saranno deleteri per chi li subisce, ma sicuramente rallenteranno di molto la ricerca perché questo farà sì che si diminuiranno ancora di più gli investimenti e che chi dovrà investire si preoccuperà ovviamente per i possibili effetti dannosi di queste terapie. Quindi la strada è stata imboccata, è quella giusta, si va un passo dietro l’altro, sicuramente si arriverà ad utilizzare queste terapie, le si utilizzerà – ripeto – nei campi in cui dimostreranno di essere più efficaci, ma ci vuole cautela, quindi da questo punto di vista più si sta – tra virgolette – dalla parte secondo me della scienza vera, cioè di quella che fa le cose per aumentare la conoscenza, e più facilmente e rapidamente si arriverà all’obiettivo, mentre se si cercano scorciatoie attraverso i viaggi della speranza secondo me il rischio è troppo alto e di sicuro questo non porterà ad un avanzamento della conoscenza.
Finirei qua e vi ringrazio molto per avermi ascoltato.



Intervento PROF. LUCIANO EUSEBI
Ordinario di Diritto Penale dell’Università Cattolica di Milano e Piacenza
Grazie. Innanzitutto un saluto molto caro a tutti per questa accoglienza, e vorrei muovere, come già era stato fatto dall’amico Toschi e dal Sindaco, un riferimento alla Costituzione, che qualche volta noi forse non valorizziamo adeguatamente. Che cosa ci dice la Costituzione in quel nucleo fondamentale che è dato dagli artt. 2 e 3? Non sono solo parole, e l’art. 2 ci parla dei diritti inviolabili dell’uomo e ci dice una cosa rivoluzionaria, che poi è stata base anche della Dichiarazione Universale dei Diritti Dell’Uomo, diversamente da tutta la tradizione precedente, perfino dalla tradizione liberale che ha tutti i suoi meriti, noi abbiamo l’idea che i diritti non vengono dallo Stato, non vengono concessi dall’ordinamento giuridico, e lo Stato è l’organizzazione giuridica che è al servizio dell’essere umano portatore di diritti in quanto tale; la Repubblica riconosce - non concede, non attribuisce – i diritti inviolabili, li riconosce, quindi al centro c’è la persona, tutto il resto è al servizio della persona. Poi questo si mette in stretta correlazione con l’art. 3 che ci parla di quei medesimi diritti inviolabili, quindi della dignità della persona nell’ambito sociale, dicendosi che quei diritti, dunque la dignità sociale, si hanno a prescindere da qualsiasi altra considerazione. Avete presente i “senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua, di religione”, e poi si dice “di condizione umana o personale”. Che cosa vuol dire in sostanza? Senza nessuna distinzione, cioè i diritti inviolabili non dipendono – questo è importantissimo, rivoluzionario – da un giudizio sulle condizioni esistenziali, sulle qualità, sulle capacità che quella vita esprime in un dato momento del suo svolgimento. I diritti inviolabili dipendono esclusivamente dalla esistenza in vita, e questo – notate bene – è il fondamento del principio di uguaglianza in senso sostanziale. Perché siamo uguali? Perché i nostri diritti inviolabili non dipendono da un giudizio che altri possa dare delle mie condizioni, tanto meno da un giudizio che altri possa dare – quando l’umanità l’ha voluto fare ha fatto sfracelli – sul fatto che la mia vita sia degna o non degna di essere vissuta. I diritti inviolabili dipendono esclusivamente dalla esistenza in vita, siamo eguali perché ci riconosciamo reciprocamente come titolari di diritti per il solo fatto di essere in vita. Questo è assolutamente rivoluzionario nella nostra Costituzione. L’abbiamo attuato sufficientemente, o è un compito che ci sta ancora dinnanzi? Perché poi la Costituzione fa un passo ulteriore - già veniva ricordato in sede di introduzione – non si limita a dirle queste cose, ma poi, sempre nell’art. 3 dice che è compito della Repubblica – veniva ricordato prima – rimuovere gli ostacoli che si frappongono al fatto che questo divenga realtà.
Questo ci fa capire un’altra cosa estremamente importante: non basta affermare i diritti, anzi, vogliamo essere un po’ provocatori? I diritti non esistono, i diritti sono un’astrazione. Che cosa esiste davvero? Scusate, l’avete mai visto camminare un diritto per strada? Che cosa avete visto camminare per strada? I doveri, cioè il fatto che qualcuno si pieghi sulla situazione di difficoltà di un altro per farsene carico. Se qualcuno assume un dovere allora l’altro ha il diritto, ma il diritto è un’astrazione finché qualcuno non assume l’impegno di agire verso l’altro secondo la sua dignità, perché alla fin fine il messaggio della Costituzione sta tutto qui: il diritto che cosa è? E’ prima di affermare i diritti diventare consapevoli che io devo agire verso l’altro, verso ogni altro secondo la sua dignità, anche quando questo costa. Questo allora ci porta al significato anche del messaggio costituzionale nel suo più profondo: la democrazia non è soltanto il sistema dove ognuno può parlare, ci mancherebbe altro se non è importante, ma è di più; non è soltanto il sistema dove ognuno può votare, ci mancherebbe altro che è importante, ma la democrazia è quel sistema dove anche chi non ha forza contrattuale conta, la democrazia è quel sistema dove ognuno conta, dove il debole conta. Allora vedete, questo è molto facile dirlo da un tavolo, poi si tratta di tradurlo in realtà, e questo ci guida anche un pochino a superare certi stereotipi nel nostro Paese dove si fa un po’ politica su queste… Attenzione: per esempio abbiamo un po’ banalizzato a mio avviso, io non sono di espressione conservatrice, lo sa chi mi conosce per quanto riguarda tutta una serie di battaglie nel mio settore per la riforma del penale etc…, però a me sembra, se la vita umana è il presidio del mutuo riconoscimento tra ogni essere umano, a prescindere da un giudizio sulle sue condizioni, non conta se sei sano, malato, all’inizio o alla fine della tua vita che allora abbiamo davvero banalizzato anche i temi della bioetica e del rispetto della vita dall’inizio alla fine. Non è un tema né religioso, né di destra, né di sinistra, è un tema che attiene al fondamento della nostra democrazia, e su queste cose dobbiamo ritornare a dialogare, a lavorare insieme, perché io potrei anche aver finito perché poi sarà la Professoressa Messerini che, avendo una specifica competenza di ambito non solo costituzionale, ma amministrativo sull’ordinamento dello Stato, che magari ci potrà cominciare a dire qualche cosa sulle legislazioni che potrebbero migliorare a tutela delle situazioni deboli dove oggi noi abbiamo la necessità di fare dei passi avanti, ma indugiando ancora un poco così su alcune riflessioni di fondo forse già nella nostra società ricreare serenità nel guardare senza steccati, senza contrapposizioni a queste esigenze assolutamente fondamentali io lo ritengo importante, senza diffidenze. Io per esempio devo dire che ho qualche timore che una certa enfasi – si diceva all’inizio non facciamo… e sono d’accordo – che qualche volta non mette al centro quello che oggi invece giustamente insieme abbiamo messo al centro, cioè il massimo aiuto possibile verso chi vuole vivere, può avere anche degli effetti che vanno un poco sbilanciati, oggi si parla con tanta facilità del diritto di morire. Attenzione: siamo tutti d’accordo che l’intervento terapeutico non deve mai essere un intervento sproporzionato? Siamo tutti d’accordo nella riflessione sul modo corretto di intendere il concetto di proporzione? Io ho qualche perplessità nell’immaginare che una materia così delicata possa oggi essere trattata come se insieme democraticamente non abbiamo più nulla da convivere, nessuna criteriologia da condividere, c’è soltanto da fare riferimento a un’espressione formale di volontà, quale essa sia, a prescindere da un giudizio sul tipo di intervento che si sta effettuando sulla sua proporzione. Su questo possiamo essere estremamente aperti, ma attenzione un poco ai messaggi. Io ricordo quello che gli psicologi olandesi, non un singolo, ma l’associazione degli psicologi olandesi più di dieci anni fa disse al governo olandese nel momento in cui ci si orientava a una certa scelta legislativa, che voi conoscete bene “Attenzione, perché si rischia di fare una cosa che non deve avvenire, che comunque insieme dobbiamo evitare, e cioè che i soggetti deboli vengano a trovarsi in una situazione di maggiore debolezza, perché fino a ieri l’essere curato anche in situazione di precarietà esistenziale - non sto parlando delle situazioni dove la terapia sarebbe una sproporzione – era la normalità, da oggi in poi diventa una tua scelta”, e si insinua un tarlo molto pericoloso, forse gli altri, forse la società si attendono un mio passo indietro. Non dobbiamo trascurare che dinnanzi a queste problematiche esistono anche problemi, anche considerazioni di carattere economico, dobbiamo evitare in tutti i modi che ci sia una colpevolizzazione dei malati, delle famiglie, che anche in condizioni dove la guarigione non è più possibile, chiedono, anche se la malattia è una malattia degenerativa, ma può ancora dare spazio esistenziale, di essere curati.
Io ho seguito la persona a me più vicina in una lunghissima vicenda oncologica che non è certamente la stessa cosa delle situazioni di cui stiamo parlando quest’oggi, ma cinque anni prima che quella vicenda si concludesse qualcuno anche autorevole sul piano medico ci diceva “Ma perché chiedete ancora terapia? In fondo si sa già come va a finire”. A parte il fatto che si sa come va a finire della vita di ciascuno di noi a prescindere, però attenzione: la vita non va quantificata soltanto dal punto di vista dell’efficienza materiale, e dobbiamo ribaltare – tornando a quell’idea iniziale – l’idea – è già stato detto prima molto bene – che quanto qualcuno assume un impegno, che può essere anche sacrificio, per essere vicino, per dare dignità all’altro che fa – tra virgolette – una sorta di elemosina, una sorta di atto melenso, così caritatevole, ma nel senso deteriore del termine, noi dobbiamo riscoprire nella società una cosa che in fondo è essa pure implicita al testo costituzionale: che tu come persona che magari hai la fortuna di star bene di realizzi non nel momento in cui butti via dalla tua vita tutti gli incontri che ti chiedono qualche cosa, perché se vivi così puoi anche vivere 90 anni o 120 anni e non costruisci niente, perché se hai eliminato dal percorso della tua vita – come si fa quando si va a giocare a bowling che si buttano via tutti i birilli – ti accorgi che sì, magari hai avuto una vita apparentemente facile, ma ti sei privato di tutte le occasioni dove tu potevi essere autenticamente te stesso, perché ciò che tu sei di più grande lo sperimenti solo quando non sei egoista, ma quando sei capace di dare, quindi il piegarsi sulle situazioni di difficoltà non è un solo dare, ma anche un realizzare se stessi. Allora davvero, io non credo che poi dopo ciò che chiedono le famiglie sia la solitudine anche nelle situazioni che danno tanti gravi problemi di decidere da soli, noi dobbiamo ancora saper condividere nel nostro Paese delle criteriologie che ci portano a dire “Decido io quando muori tu, quando muore tua madre, tua figlia”, ma se insieme diciamo se questa terapia è proporzionata o non è proporzionata, ma insieme diciamo nel momento in cui valutiamo se una terapia è proporzionata o non è proporzionata che in tutti i casi in cui non dovessimo riconoscere che ormai un intervento terapeutico non ha più senso in tutti quei casi ci impegniamo fino in fondo senza sé, senza ma, per essere vicino a chi non vuole vivere, ma a chi ha davvero diritto di vivere perché è membro prezioso della società, e chi l’ha mai detto che chi da più alla società è chi si manifesta soltanto efficiente sul piano dei rapporti che possono essere pesati dal punto di vista economico?
Allora il mio messaggio essenzialmente è questo: non usiamo i problemi in termini di contrapposizione – già lo si diceva all’inizio – ma torniamo a guardarli i problemi, a guardarli nel loro spessore, a sentirci amici nel guardare i problemi nel loro spessore e a renderci conto che proprio nei casi in cui da un punto di vista materiale ci potrebbe sembrare ma non ha senso intervenire, ma non ha senso essere vicino anche a quel malato che magari vive una condizione estrema di povertà esistenziale, magari non sappiamo neanche se c’è un barlume di coscienza o non c’è un barlume di coscienza. Quando la società mostra di essere vicina anche ai suoi membri più deboli e più umanamente deprivati da’ un messaggio straordinario perché mostra di essere davvero una società solidaristica, e questo noi lo dobbiamo dire con forza, anche perché dobbiamo riconoscere che non è possibile, lo abbiamo capito ormai da 2.000 anni di riflessione filosofica, non possiamo distinguere nell’essere umano un corpo che è solo il corpo sul quale poi chissà da dove verrebbero le dimensioni psichiche, intellettive, cognitive, la realtà umana è una realtà unitaria, quando inizia l’avventura del corpo a quell’avventura del corpo si associa lo strutturarsi di tutto ciò che esprime l’umano, l’umano non è l’appiccicamento di una dimensione corporea e di un’altra dimensione, tutto ciò che è l’umano, tutto ciò che è certamente più grande della mera biologia si esprime attraverso il suo corpo, e allora finché noi riconosciamo un individuo in vita come potremmo mai dire che lì ormai c’è solo un corpo e non c’è l’umano? Sarà un’umanità ferita, sarà un’umanità che ci chiama alla solidarietà, ma è fondamentale questo elemento di attenzione verso queste realtà umane, che sole garantiscono se non le abbandoniamo, che la nostra società sia davvero democratica, allora non dobbiamo assolutamente avere paura di riflettere insieme anche sui temi sui quali magari oggi si teme, perché poi si dice “Ah, ma allora tu sei in uno schieramento, tu sei…”, pensate semplicemente al problema enorme del terzo millennio di come useremo i dati genetici: se li useremo in senso selettivo o in senso curativo, se li useremo per fare genetica quando la vita è già iniziata o li useremo invece per migliorare le terapie? Sono problemi enormi, non sono problemi ideologici, sono problemi che ci debbono accomunare. Io sono stato 4 anni nel Comitato Nazionale per la Bioetica, erano presenti tante posizioni ovviamente, riuscivamo a discutere animatamente, ma anche in certa misura ad essere amici. Voglio farvi un piccolo esempio che forse fa un po’ il paio con quello che diciamo oggi: se c’è un tema dibattuto nella nostra società è l’aborto. Va bene. In Comitato Nazionale con 2 anni di lavoro - poi l’hanno dimenticato tutti – eravamo riusciti a fare un gruppo di lavoro che ha pubblicato – lo potete guardare nel sito “Comitato Nazionale per la Bioetica, Pareri” un documento firmato da tutti sull’aiuto alla donna in gravidanza, sul massimo aiuto alla donna in gravidanza in senso di prevenzione. E’ stato firmato da tutti, si è fatto abbastanza? Mi pare proprio di no, e allora nella nostra società nonostante tante divisioni c’è la possibilità di condividere, il tema di cui diciamo stasera ben difficilmente troverà qualcuno che dice “No, non si deve aiutare le persone con gravissimi problemi”, ci mancherebbe che qualcuno dica di no, ma abbiamo fatto finora abbastanza? Come in quell’occasione è giusto aiutare la donna in gravidanza? Certo che è giusto, ma abbiamo fatto abbastanza per prevenire poi quell’evento, che è un evento comunque tristissimo per la vita e anche per la donna? Nella nostra società c’è molta possibilità di riprendere un cammino di dialogo e di condivisione, lo dobbiamo assolutamente fare.
Il mio intervento è stato soltanto un messaggio di stimolo, mi fermo, ma credo che sia una cosa importante.



Intervento PROF. VIRGINIA MESSERINI
Ordinario di Diritto Pubblico dell’Università degli Studi di Pisa
Certo dopo l’intervento così denso di pathos del Professor Eusebi, e anche degli altri interventi precedenti, io che riporterò il discorso a profili più tecnici, più giuridici, raffredderò certamente l’uditorio, me ne dispiace e mi scuso, ma penso che il discorso comunque sia utile e necessario anche per individuare poi sul piano concreto - come si veniva stimolati prima - quali possono essere i percorsi giuridici, le vie concrete per riuscire a raggiungere quegli obiettivi che così mirabilmente sono stati già delineati.
Sulla Costituzione, che è il punto di partenza di ogni discorso giuridico, si è già detto parecchio, io vorrei solo aggiungere alcuni aspetti, che mi servono poi per riuscire a precisare, puntualizzare il rapporto fra i disabili e la società, fra i disabili e le istituzioni, e il ruolo che le istituzioni e la società possono avere per includere al loro interno i disabili. Ritorno sul diritto alla dignità richiamato in precedenza, che noi troviamo riconducibile alla Costituzione, anche se nella nostra Costituzione espressamente non si parla di un diritto alla dignità, come in altre costituzioni avviene, come avviene nella Costituzione tedesca, come avviene nella Costituzione spagnola, nella Costituzione portoghese, nelle dichiarazioni dei diritti che ai vari livelli di ordinamento internazionale avviene. Ma la nostra Costituzione, pur non richiamando espressamente un diritto alla dignità, presuppone però questo diritto alla dignità in modo estremamente forte, indica la dignità della persona come un nucleo irriducibile aldilà – mi vien fatto di dire – della stessa esistenza fisica della persona. Dico questo perché mentre la Repubblica può chiedere in casi estremi ai cittadini anche il sacrificio della vita, come nel caso della guerra difensiva, unica ammessa dalla nostra Costituzione – come voi sapete – all’art. 52, quindi la Repubblica può chiedere in casi estremi il sacrificio della vita, ma non potrà mai chiedere il sacrificio della dignità, perché se si toglie la dignità ad una persona si infligge a questa persona – potremmo dire – una pena più grave della morte perché la dignità è l’essenza stessa della persona, e alla dignità non si può mai rinunciare in qualsiasi situazione l’individuo si trova, in qualsiasi situazione anche di menomazione della libertà, si pensi ai problemi che questo comporta per le persone che sono ad esempio nelle carceri, ma per quelle che sono negli ospedali? Per i disabili gravi che hanno le loro libertà fisiche estremamente compresse, ma che non possono rinunciare in alcun modo alla loro dignità. Ora questa dignità che la nostra Costituzione quindi presuppone e richiama come un diritto inviolabile, come un nucleo irrinunciabile e irriducibile della persona umana viene collegato alla società, viene messo in connessione con la società perché l’uomo è inserito nella società, l’uomo – come già diceva il Professor Eusebi – non vive da solo, l’uomo vive nella società e in tutte le forme in cui la società esiste, l’uomo è società prima che Stato, e se questo è vero allora le istituzioni assumono un rilievo determinante proprio per quanto riguarda il rispetto del diritto alla dignità. Nei confronti della dignità io penso che sia importante parlare non solo di diritto ma di rispetto proprio perché bisogna garantire che ogni individuo possa esprimere in tutta la sua pienezza, pur nelle condizioni in cui si trova, quella che è l’essenza stessa della sua personalità. L’elemento di novità che - è stato già sottolineato prima – noi troviamo nella nostra Costituzione è proprio il collegamento dei diritti fondamentali e quindi della dignità dell’uomo con la società. L’art. 3 dice “La Repubblica deve rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della personalità”, ed è proprio attraverso il collegamento della dignità con il principio di uguaglianza e con questo obbligo, dovere della Repubblica di intervenire per rimuovere gli ostacoli che si trova quella sintesi, quel superamento – che era stato prima sottolineato – tra l’apparente contraddizione del principio di uguaglianza con l’esistenza di differenze che nella vita, nella società noi incontriamo, proprio attraverso la dignità si ricompone quell’apparente disomogeneità tra le singole differenze di situazioni, di condizioni e l’uguaglianza degli individui. Dicevo prima che l’elemento sociale è l’elemento di novità - che si riconduce a tutto il dibattito sulla tutela, il riconoscimento della dignità e del principio di uguaglianza – è dato proprio dal fatto che c’è un’impostazione dinamica nei confronti della tutela di questo diritto, del rispetto della dignità. Cosa vuol dire “un’impostazione dinamica”? Vuol dire che non basta il riconoscerlo sulla carta, occorre intervenire, occorre agire per promuovere questa effettiva uguaglianza per assicurare in concreto, di fatto il rispetto della dignità e la tutela dei diritti fondamentali, non basta quindi – riesprimo lo stesso concetto con un’espressione diversa che ha espresso già il Professor Eusebi – una tutela passiva, occorre una tutela attiva, occorre un agire, occorre che le istituzioni, ma anche la società, operino perché questi diritti vengano garantiti in concreto, di fatto, è la grande novità del nostro art. 3 della Costituzione e che lo distingue rispetto ad altre formule che in altre costituzioni noi troviamo. Allora lo Stato non può essere indifferente allo sviluppo economico e sociale, non può essere indifferente - ed è responsabile - a favorire le condizioni perché i diritti fondamentali e anche il rispetto della dignità possa trovare una sua concretezza. Questo ruolo attivo - sul quale voglio ritornare – dello Stato per dare concretezza a questa esigenza di rispetto della dignità, che proprio è un’esigenza fondamentale, che sta al fondo di tutta la nostra Costituzione, questa esigenza di assicurare in concreto il rispetto della dignità della persona, soprattutto delle persone che si trovano in condizioni particolari di limitazioni nelle loro libertà, di difficoltà a esprimere appieno la loro personalità, ha subito un processo evolutivo - il cui approdo è quello che noi vi abbiamo detto – che è parallelo ad un processo evolutivo che riguarda la definizione della disabilità, e io vorrei qui fare un riferimento a dei documenti che a livello internazionale importanti sono stati elaborati, approvati e ratificati dal nostro Stato e anche nell’Ordinamento Comunitario. Non ho sentito prima qui il riferimento a questi documenti che mi sembrano molto importanti, e io penso che in questa sede sia il caso di richiamarli brevemente: mi riferisco alla Convenzione Internazionale per i Diritti delle Persone con Disabilità approvato dalle Nazioni Unite nel 2006 e ratificato dall’Italia l’anno scorso e dall’Unione Europea poco dopo, sempre nel 2009. E’ stato considerato come un documento importante perchè è il primo accordo sui diritti umani del III millennio, del 2000, è il documento più autorevole perché è stato adottato da 192 stati, e questo documento è importante perché ci da’ due indicazioni che in questa sede ci interessano molto: innanzitutto dice che cosa è la disabilità, ma la definisce con un’impostazione innovativa rispetto alle espressioni tradizionali che si possono dare della disabilità “La disabilità è il risultato dell’interazione tra persone con le menomazioni e le barriere comportamentali ed ambientali che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri”. Come vedete con questa definizione si riassume molto delle riflessioni che sono state fatte prima, perché si collega la situazione della disabilità con gli aspetti sociali, con la società. Innanzitutto si dice che la disabilità non è solo un dato personale, ma è il risultato di un’interazione con le barriere comportamentali e ambientali, quindi con le barriere che possono derivare dalla società. Questa definizione quindi ci porta nel cuore del rapporto fra disabilità e società. Mettere in connessione gli aspetti della disabilità con la società vuol dire andare avanti in quel processo che ha portato le persone che sono affette da gravi disabilità da una situazione di esclusione ad una situazione successivamente di marginalità, e poi ad un’esigenza di inclusione per realizzare in modo compiuto la pari dignità. Ecco il nuovo aspetto che presenta la Convenzione, quello della inclusione, infatti facendo riferimento agli obiettivi la Convenzione – che ho prima ricordato – pone fra gli obiettivi “promuovere, proteggere e assicurare il pieno godimento e in condizioni di uguaglianza di tutti i diritti umani, di tutte le libertà fondamentali e per tutte le persone con disabilità, promuovendo il rispetto della loro intrinseca dignità”, quindi impone che si abbandoni questa definizione che si da’ di disabilità e di indicazione degli obiettivi, impone che si abbandoni l’indirizzo tradizionale che fino ad ora, fino a poco tempo fa veniva seguito nei confronti dei disabili, che era una risposta ai bisogni, invece ora bisogna porre il centro dell’attenzione sulla dimensione dei diritti, quindi occorre sostituire – e si diceva prima – le politiche dell’assistenza con le politiche dell’inclusione. Questo cosa ci porta ad affermare? E su questo devo dire che vi è una piena convergenza anche con le posizioni dell’Unione Europea, il più recente documento, di pochi mesi fa dell’Unione Europea va proprio in questa direzione: nell’esigenza dell’inclusione. “Inclusione” vuol dire che i disabili devono essere accolti dalla società e la società deve trarre da loro anche la forza di tipo culturale per poter proseguire ed andare avanti; vuol dire che le istituzioni a livello territoriale anche più vicine alle varie situazioni devono operare innanzitutto per cercare di affrontare i bisogni dei disabili, ma non è solo questo – e su questo voglio ritornare – non solo affrontare il problema dei bisogni dei disabili, ma cercare di promuovere una crescita culturale, una crescita della società, ambientale direi e culturale della società, e il fatto che qua siano presenti tante persone, il fatto che qua siano presenti anche tanti giovani da’ una speranza in questo senso, proprio per cercare di promuovere nella società quella cultura necessaria per riuscire a raggiungere l’obiettivo dell’inclusione, “inclusione” che vuol dire che il disabile deve vivere nella società, fa parte della società, non deve essere emarginato, non deve essere escluso. Questo permette anche di affermare che le istituzioni si devono promuovere e devono operare perché i disabili se lo ritengono opportuno possano scegliere un percorso di vita all’interno della famiglia, e non solo, all’interno della società, non rimanere chiusi nelle istituzioni, che pur possano soddisfare i loro bisogni di assistenza, ma non soddisfano quell’esigenza di dare pieno sviluppo alla loro dignità. I disabili devono riuscire a vivere nella società che deve essere in grado di accoglierli, e su questo le istituzioni possono fare molto – ricordava prima il Sindaco – alcune regioni, non molte, poche, si sono già mosse in questa direzione. Come si possono muovere in questa direzione? Innanzitutto permettendo, attraverso forme di sostegno, la possibilità che i disabili rimangano nei loro ambienti, rimangano nel loro ambito sociale, permettendo anche un sostegno a tutte le associazioni che possono dare proprio questa possibilità della persona che si trova in una grave disabilità a vivere insieme agli altri, ad essere circondata dall’affetto degli altri. Il Comune, la Regione in questa direzione devono essere in prima fila, lo Stato può dare indicazioni attraverso delle leggi di principio, ma poi i protagonisti devono essere le istituzioni territoriali, e per sottolineare il ruolo che in questa direzione può dare la società, ma anche gli effetti che la società riceve dalla presenza di queste persone. Lo ha fatto prima il Professor Eusebi, vorrei ricordare… non l’ho mai fatto, ma in questo ambiente mi viene così… questo bisogno di far presente un episodio della mia vita passata, della mia vita personale: io in tutta la giovinezza ho vissuto accanto a una persona gravemente disabile, era una zia, la sorella della mia mamma, che era affetta da sclerosi multipla, un tempo si diceva sclerosi a placche, una persona meravigliosa che man mano è andata perdendo la sua libertà di movimenti, era rimasta praticamente quasi impedita in tutti i suoi movimenti, e anche la vista si andava sempre più riducendo. Bene, questa persona è riuscita con la sua serenità, con la sua forza di accettazione delle sue condizioni, con la testimonianza della sua vita a dare non solo un esempio a me, ai miei fratelli, ai miei genitori ovviamente, ma a dare forza a noi. Non eravamo noi che si dava forza a lei ma era lei che dava forza a noi, ma non solo a noi, c’erano molte amiche, la mia mamma aveva molte amiche che inizialmente venivano a trovare la mia zia per uno spirito assistenziale, di carità, ma che poi hanno avuto tanto beneficio, tanta forza che dicevano a noi “Quanto ci ha fatto bene questo esempio”. Questa testimonianza della mia vita personale mi porta ad affermare che queste persone che combattono così tanto con i loro dolori, con le loro limitazioni sono una forza anche per la società, ed è per questo che questa esigenza di inclusione va assecondata, d’altra parte ce lo indica, è un percorso che ci indicano, che ci viene indicato a livello internazionale, la Dichiarazione che vi ho prima letto, a livello comunitario. A livello comunitario come? Io qui vorrei ricordarlo come un possibile percorso: indicando delle possibilità di progetti finanziati dalla Comunità Europea, progetti che possono promuovere delle buone prassi, e quindi dar luogo poi ad un’acquisita consapevolezza della società che può portare veramente a modificare la legislazione e a permettere di distribuire in modo diverso le risorse che mi rendo conto sono pur limitate, ma le risorse che comunque le istituzioni pubbliche possono offrire perché questo avvenga. In questo modo si avrebbe davvero quella integrazione tra quel principio di sussidiarietà verticale e di sussidiarietà orizzontale che la nostra Costituzione rinnovata del 2001 ha proclamato nell’art. 118, in cui si richiama il principio di sussidiarietà orizzontale, che vuol dire che le istituzioni devono operare a livello più vicino ai cittadini per far fronte alle esigenze dei cittadini, di tutti i cittadini, anche di quelli che hanno, e anzi, ancor più, nei confronti di quelli che hanno maggiori difficoltà; ma anche sussidiarietà orizzontale, che vuol dire che la società in tutte le sue articolazioni attraverso le associazioni di tutti i tipi, anche quella che ha contribuito a promuovere questa iniziativa, il SOROPTIMIS, di cui faccio parte, quindi sono molto contenta di essere intervenuta anche in questa occasione, proprio perché l’iniziativa era stata assunta anche dal club di cui faccio parte, e queste associazioni devono tutte quante portare ad una crescita della società. Che vuol dire “crescita della società”? Vuol dire anche permettere la piena attuazione dei diritti, soprattutto dei diritti delle persone che si trovano in una situazione di maggiore difficoltà. Io ora mi rivolgo alle persone disabili che vedo qui accanto e che saluto veramente con molto affetto: trovare la forza per portare avanti questa vostra testimonianza; sappiate che questa vostra testimonianza serve anche agli altri, quindi non vi dovete sentire isolati, dovete sapere che la società intorno a voi vi circonda, vi circonda con affetto, vi da’ la forza perché voi riuscite a dare forza anche agli altri. Grazie.



Intervento WILMA MALUCELLI
Presidente Nazionale SOROPTIMIST INTERNATIONAL d’ITALIA

Grazie all’Associazione Per una Vita Dignitosa che ha pensato a noi, al SOROPTIMIST. Noi soroptimiste siamo un’associazione tutta femminile, siamo una grande rete: prima si è evocata questa operatività in rete e noi siamo una rete di donne, quasi 90.000 nel mondo, quasi 6.000 in Italia; siamo un’associazione aconfessionale, apartitica: ecco che quindi ci ritroviamo nella mission di questa associazione che ci ha coinvolto. Devo dire che io sono qui non come addetta ai lavori, sono un’ insegnante di lettere, il mio è un messaggio di ringraziamento, di saluto, ma sono qui anche per imparare. Io ho ringraziato il signor Guerrieri perché ha capito, e anche noi abbiamo capito, che le nostre finalità in effetti coincidono, e mi fa piacere che l’intervento di Virginia Messerini abbia messo in evidenza appunto che Virginia è qui anche come soroptimista, soprattutto come soroptimista. Fra pochi giorni noi celebreremo il “Soroptimist Day”, la nostra festa più importante, ed è il 10 dicembre, una giornata che commemora, che ricorda la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, quindi mi fa piacere che il mio intervento segua i due interventi sui diritti: effettivamente noi siamo un’associazione – come diceva Virginia – che rappresenta la società civile, quella sussidiarietà orizzontale che evocava la Professoressa Messerini, e noi ci battiamo per l’affermazione dei Diritti umani, in particolare delle donne, dei bambini, di queste fasce deboli - come fascia debole indubbiamente è quella dei disabili gravi- e noi riconosciamo che i diritti sono inalienabili, ma purtroppo – come diceva il Professor Eusebi – non sempre l’applicazione pratica di questi diritti è conseguente alla loro inalienabilità; sono gli Stati i garanti di questa applicazione, e purtroppo ci sono Stati che non la garantiscono, specie per le fasce marginali: donne, bambini, le fasce che noi difendiamo in particolare in quanto associazione femminile, ma anche le fasce più deboli, quelle appunto dei disabili. Anche noi ci battiamo contro le disuguaglianze, basandoci sul volontariato, crediamo che l’operatività concreta derivi anche da un’accettazione volontaria di questa operatività: noi scendiamo in campo perché crediamo in queste nostre finalità, abbiamo passione e quindi applichiamo in pieno quello che è stato detto prima: contro l’egoismo, per la solidarietà. Questi sono i principi che ci muovono, è quella capacità di dare - che diceva il Professor Eusebi - che ci fa anche realizzare noi stesse, contro qualsiasi egoismo. Siamo d’accordo che i mass-media purtroppo distorcono spesso la realtà - lo diceva prima il Sindaco - indubbiamente è chiaro che i mass-media danno più spazio al discorso dell’eutanasia, quasi una rimozione voluta appunto della disabilità grave, e siamo d’accordo che i mass-media distorcono anche l’immagine della donna, e impongono lo stereotipo femminile, e noi ci battiamo in questo senso: bisogna cambiare la cultura, è vero, l’hanno detto tutti quelli che mi hanno preceduta, in tutti i sensi, anche la cultura nei riguardi della differenza di genere; sono tante purtroppo le differenze da cui è lacerata la nostra società, e la differenza di genere è una di quelle. Bisogna cambiare la cultura da subito, fin da giovani, e mi fa piacere che ci siano qui molti giovani: anche io come Virginia sono felice di questa presenza oggi, poiché i nostri interlocutori sono soprattutto loro. Mi hanno fatto piacere le parole, anche se virtualmente dette attraverso la registrazione, del Professore dell’Università di Pisa, che ha parlato di un bisogno di agenzie di valori etici: anche il SOROPTIMIST vuole affermare proprio questo, l’etica, i valori: se voi leggeste le nostre finalità, la nostra etica ve ne accorgereste. Ha ricordato gli angeli in senso simbolico, non so effettivamente il senso che volesse dare a questa parola, ma effettivamente ci sono tanti angeli che sono intorno a noi, io qui ne ho uno accanto, accanto a Luca Pampaloni c’è un angelo, un angelo custode, e sono molto belle queste presenze angelicate, queste presenze importanti e silenziose. A Forlì dove io vivo si è tenuto un convegno a cui ha partecipato il signor De Nigris che ha fondato la Casa dei Risvegli a Bologna in nome di un figlio perso tragicamente, Luca De Nigris. Tante persone, tanti volontari si adoperano in questa Casa dei Risvegli dove vengono portati coloro che vivono in uno stato di coma più o meno lungo, a volte ci sono stati dei risvegli, quindi il miracolo di risvegliarsi - sono soprattutto giovani che a seguito di incidenti sono entrati in coma. Ma il signor De NIgris diceva anche che coloro che incontrano questa realtà quasi si “risvegliano” dalla realtà che ci circonda oggi, che ci costringe quasi ad una vita addormentata o che rimuove certe situazioni dolorose, quindi “risveglio” in senso lato. Fra l’altro è bella anche questa voglia di vivere inguaribile, questa volontà di vivere anche da parte di chi indubbiamente soffre o è costretto appunto a una vita così difficile: è quindi un messaggio di speranza. E’ chiaro che chi ha una disabilità grave vive perché c’è qualcuno che lo ama, e noi siamo qui per affermare questo, cioè che ci sono tanti che li amano, che amano queste persone che sono costrette a vivere una vita così difficile: quindi voglio dire che la qualità della vita può essere alta anche in situazioni di grave disabilità, se c’è qualcuno intorno che è un angelo – come diceva il Professore di Pisa – qualcuno che volontariamente dedica loro parte della sua giornata, o, se sono i genitori, anche tutta una vita. Quindi “risvegliarsi” proprio da questa realtà, riconoscere il valore della vita: questo valore è una conquista per tutta la società aldilà di ogni confine di religione, di politica… anche noi soroptimiste siamo aconfessionali, apartitiche, siamo tante nel mondo, cristiane, musulmane, ebree, di qualsiasi confessione. La qualità della vita dipende dai rapporti umani, e noi vogliamo che questi rapporti umani esistano, noi siamo qui per affermare che crediamo che i rapporti umani importanti, profondi ci possono essere in qualsiasi condizione, anzi, in queste condizioni forse di più. Io non voglio certo dilungarmi, voglio condividere quello che è stato detto: anche noi crediamo certo nei gesti caritatevoli, non la carità per la carità, ma la carità progettuale, la carità che si fa progetto, che si fa esempio concreto, che si fa anche modello di vita, modello propositivo, queste sono le nostre priorità. Quindi direi che questo convegno oggi anticipa il 10 dicembre, il nostro “Soroptimist Day”. L’Europa – è stato detto – è il giardino fiorito dei Diritti umani, ed è vero, noi siamo fortunati, anche in Italia, se ci confrontiamo con tante parti del mondo dove i Diritti umani vengono calpestati costantemente e quotidianamente, siamo fortunati, è chiaro però che nella nostra fortuna lati oscuri ci sono, e qui sono stati messi in evidenza: ci sono ancora tante esigenze, tante fasce appunto della nostra società, la società del benessere, che ancora non sono state raggiunte, ecco quindi che ci vogliono agenzie di valori etici proprio come è stato detto, una tutela attiva dei diritti: ed è vero, anche noi soroptimiste vogliamo essere tutela attiva dei diritti.
Io ringrazio l’Associazione per Una Vita Dignitosa, condividiamo le stesse finalità, gli stessi principi, lo stesso desiderio di valori etici affermati. Grazie.
Aggiungiamo i ringraziamenti per il SOROPTIMIST Club di Piombino, prima non l’ho citato, ho ringraziato Virginia Messerini del SOROPTIMIST Club di Pisa, ma indubbiamente volevo estendere i ringraziamenti come Presidente del SOROPTIMIST ITALIA al club di cui fa parte anche la mamma di Roberto, una cara amica che saluto caramente, un club che ha dato tanto all’Unione italiana, quindi grazie a Piombino, grazie a voi.



Intervento DOTT. LUCA PAMPALONI
Autore di “Il cuore a sinistra, senza ruota di scorta”

Non preoccupatevi se non capite, perché il mio assistente personale tradurrà quello che dico.
Io ho preparato un intervento scritto perché avevo un po’ di cose da dire, però prima di questo volevo dire due o tre cose.
Mi dispiace molto che proprio nell’ultima fase di preparazione del convegno ho avuto problemi tecnici con il computer. Questo mi ha impedito di chiedere una rettifica. Quindi, la faccio ora e mi scuso di nuovo. Io non sono il Presidente della AVI Toscana, faccio parte della segreteria operativa, però non sono il Presidente. Questa era la rettifica.

Io scelgo di leggere ugualmente l’intervento, anche se purtroppo dobbiamo lamentare un piccolo stravolgimento del programma. Questo intervento era scritto pensando alle conclusioni da parte della Regione Toscana. Quindi, ci sono anche cose molto precise. Io le tengo lo stesso perché comunque un po’ di concretezza non fa male. Per ora mi fermo e faccio leggere il mio intervento.

Il diritto a una vita dignitosa per te persone disabili gravissime
Dovendo preparare in anticipo questo intervento, non posso evitare il rischio di ripetere concetti già espressi dagli autorevoli relatori che mi hanno preceduto.
Oggi, in generale, anche tra coloro che vogliono richiamarsi alla Costituzione lo si fa in modo approssimativo e incompleto. Il primo dato da tenere presente è che non può essere casuale il fatto che i costituenti abbiano posto uno di seguito all'altro i principi di libertà e il principio dell'eguaglianza. Non dimentichiamoci che questi principi sono complementari ed entrambi concorrono alla definizione del regime democratico.
Tuttavia, la formulazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione ha delle specificità che la staccano notevolmente dalle Costituzioni ottocentesche.
Intanto, l'articolo 2 è di una strabiliante chiarezza, sancisce l'inviolabilità dei diritti dell'uomo e chiama tutte le istituzioni della Repubblica non solo a riconoscerli ma a garantirli:

"La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale".

La grossolanità cui accennavo prima si esplicita soprattutto quando molti citano soltanto il primo comma dell'articolo 3:

"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".

Se l'articolo si fermasse qui, la nostra Costituzione non sarebbe troppo diversa da quelle dell'ottocento.

Invece, i padri costituenti aggiunsero subito il secondo comma:

"È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".

Trovo scandalosamente tragico che moltissimi esponenti, anche del cosiddetto centro sinistra, a partire da moltissimi amministratori locali, abbiano dimenticato questo secondo comma dell'articolo 3 della Costituzione.

Per noi disabili soprattutto gravissimi questo secondo comma è di vitale importanza perché in riferimento a noi la distinzione tra "libertà negative" (libertà dallo Stato) e "libertà positive" (libertà dal bisogno, che richiedono l'intervento pubblico per essere garantite e attuate) non ha alcun valore, perché ciascuno di noi necessita dell'aiuto altrui anche per esercitare quelle libertà che le altre persone esercitano per proprio conto. Oggi, ad esempio, io non potrei esercitare la libertà di manifestazione del pensiero (ritenuta la libertà principale) senza l'aiuto del mio assistente personale che prima mi ha aiutato a venire qui e ora sta leggendo e traducendo ciò scrivo e dico. Senza contare che i disabili gravissimi necessitano di assistenza personale anche per espletare funzioni vitali come bere un bicchier d'acqua e mangiare.

 

 


 

 

Intervento LAURA CANAVACCI
Commissione Regionale Toscana di Bioetica
Buonasera, sono Laura Canavacci, sono della Commissione Regionale di Bioetica, intanto ringrazio veramente gli organizzatori del convegno per questa serata, io vi porto i saluti di Alfredo Zuppiroli che è il Presidente della nostra Commissione, il quale si scusa, non è potuto venire personalmente oggi perché impegnato già in un convegno, ha incaricato me e io ovviamente mi farò portavoce in seno alla Commissione delle riflessioni e anche dei contenuti degli interventi molto interessanti e molto belli che io oggi ho ascoltato. Non voglio rubare altro spazio al dibattito perché credo che sia un aspetto su cui gli organizzatori invece tenevamo molto, soltanto un minuto per una riflessione personale, che poi è appunto un personale apprezzamento per come nell’organizzazione di questo convegno sia stato dato un senso secondo me molto corretto al “Diritto ad una vita dignitosa”. Il concetto di “dignità” è un concetto molto scivoloso, molto liquido, un concetto sul quale tutti ci mettiamo d’accordo, da un punto di vita emotivo con la pancia siamo tutti d’accordo, ma sotto il quale poi è un grande ombrello e ci possono stare cose, anche molto differenti. Io credo che il modo in cui questo convegno ha interpretato il senso della dignità della persona gravemente disabile sia straordinariamente completo, perché da una parte – io almeno così ho percepito oggi – c’è il riconoscimento di una centralità della volontà, della personalità, della creatività della persona gravemente disabile, che è il punto di partenza, che è il riconoscimento primo, a me piace moltissimo il titolo dell’organizzazione “Vita indipendente” perché mette al centro l’idea che c’è qualcuno che come tutti gli altri è autonomo, è indipendente, ma è anche creativo e ha bisogno di spazi di creatività. Di creatività e di libertà io mi sento in questo momento anche di dover fare un riferimento a quella che poi è la libertà nella tutela della salute individuale, quindi a quanto sancito dall’art. 32 della Costituzione, quindi la libertà anche da interventi non voluti; dall’altra però c’è stato un collegamento molto forte al fatto che la persona anche libera, anche autonoma, anche indipendente non fa e non compie nessuna scelta da sola, in solitudine, ma la compie all’interno di un contesto che è fatto di relazioni, e per questo io sono molto contenta perché oggi ho avuto l’occasione di entrare in questa relazione e guardate che io mi occupo di bioetica da tanti anni e non è facile entrare bene in un’idea senza essere dentro una relazione, una relazione effettiva, e già la presenza… e io per questo ringrazio Luca Pampaloni e Roberto Guerrieri per avermi permesso una relazione diretta con loro. Poi credo che questo convegno abbia messo dentro all’idea che l’esercizio di un diritto ad una vita dignitosa è compatibile unicamente con una società che nel suo complesso nel riconoscimento reciproco dell’individualità costruisce il senso del riconoscimento e della solidarietà. Credo che sia un modo molto importante questo, soprattutto in questi giorni, perché per una persona come me che crede che la rivendicazione dell’autonomia sia un aspetto fondamentale della vita dignitosa, del concetto di dignità e della difesa della dignità individuale, deve essere anche detto con chiarezza che questa rivendicazione non può in nessuna maniera essere interpretata, soltanto nei termini di dirci che cosa non possiamo fare agli altri, non imporre trattamenti non voluti, sono cose importanti, ma che rimarrebbero prive di senso se interpretate in antitesi e non invece solamente in un doveroso completamento di un impegno che dovremo assumere ciascuno di noi personalmente, ma la società e le istituzioni in primo luogo, a rimuovere quegli ostacoli - oggi l’ho sentito tante volte – che poi effettivamente rendono impossibile un esercizio completo – ripeto – libero e creativo di una vita indipendente. Vi ringrazio, e vado via con il compito appunto di riferire alla Commissione, l’ufficio di presidenza è la prossima settimana, quindi mi faccio portavoce di quanto oggi ho appreso. Grazie.

 


 

Riflessioni Eusebi-Canavacci

PROF. LUCIANO EUSEBI
Ordinario di Diritto Penale dell’Università Cattolica di Milano e Piacenza
Volevo buttare lì soltanto un completamento, una precisazione, una riflessione su un punto che la Dottoressa Canavacci ha toccato, possiamo magari non essere pienamente d’accordo, ma rimaniamo amici proprio in questo stile di passione comune: io ho delle perplessità che l’art. 32 II comma della Costituzione istituisca il diritto di morire, istituisce un’altra cosa che era anche implicita in quanto veniva detto dal Dottor Bongioanni, e cioè che certamente il medico non può intervenire manu militari, ma altra cosa è dare per scontato che qualsiasi interruzione di terapia e qualsiasi prescrizione per il futura possa essere fatta senza una valutazione del contesto, della proporzionatezza di quella terapia, del resto lo stesso art. 32 della Costituzione per quasi 40 anni mai gli si era fatto dire che una relazione intersoggettiva può essere giocata per la morte. Certamente vanno interrotte terapie che siano diventate sproporzionate e insieme dobbiamo riflettere su questo nodo della proporzionatezza, degli elementi che entrano nel giudizio di proporzionatezza, ma una derivazione dall’art. 32 della Costituzione secondo cui può oggi nascere una relazione che di fatto ha una finalità che non è più quella della tutela della salute questo mi lascia perplesso proprio per quegli effetti che ne possono derivare. Uno che forse questa sera va pur sempre detto, oltre a quelli che cercavo di esprimere prima, è come tutta la psicologia clinica ci insegna a leggere un poco più nel profondo anche le dichiarazioni. Già prima sono emersi termini come quello di “rimozione”, ci sono delle fasi in cui si reagisce con una rimozione, che però non rappresenta il mio effettivo sentire ad una situazione ingrata immediata, e ci sono delle modalità in cui si protesta con una dichiarazione di non volere più nulla, un abbandono e una solitudine. Io però davvero, ho voluto mettere questa riflessione in un termine di totale… non ho usato a caso l’espressione “amicizia”, possono esserci anche degli aspetti che oggi vengono visti in maniera differente, però dobbiamo andare avanti a riflettere e ad ascoltarci reciprocamente in queste diverse riflessioni di fondo, perché questo credo che sia molto importante.
Vi ringrazio, e ringrazio anche lei della pazienza.

LAURA CANAVACCI
Commissione Regionale Toscana di Bioetica
Io ringrazio il Professor Eusebi, aspettavo, in realtà volevo andare via perché ho un impegno a casa, ma non ci riesco perché la passione mi ha trattenuto e ne sono molto lieta, quindi colgo l’occasione per rispondere, mi dispiace se mi sono mal espressa, non penso neanche io che la Costituzione sancisca un diritto a morire, anche perché non riesco neanche a identificare come possa costituirsi un diritto a morire, ma mi riferivo all’art. 32 quando dice che nessuno può essere obbligo a un determinato trattamento, se non per disposizione di legge, che è un trattamento sanitario obbligatorio che ha ben altre applicazioni, è il T.S.O., e in questo senso penso al diritto anche del grave disabile di scegliere a quali trattamenti essere sottoposto e a quali no, qual è il limite oltre il quale quel trattamento non è più proporzionato alle sue condizioni di vita. Quindi penso che in quel giudizio, che giustamente il Professor Eusebi richiamava alla proporzionatezza dei trattamenti, non si possa non mettere in campo la voce di chi quel trattamento lo deve subire, quindi ho soltanto dei dubbi sul fatto che quel giudizio di proporzionalità possa essere fatto a priori da qualcun altro quando c’è davanti una persona che è perfettamente abile a stabilire se quel trattamento è proporzionato o no alla sua situazione, questo solo. Le sentenze in questo senso mi pare siano state molto chiare, non esiste un diritto a morire, non esiste un diritto a richiedere un atto attivo, anche perché l’eutanasia è vietata dal nostro Ordinamento, quindi non credo che in nessuna maniera si possa in questo momento parlare di “diritto all’eutanasia”, si parla di un diritto a quali trattamenti essere sottoposti.

PROF. LUCIANO EUSEBI
Ordinario di Diritto Penale dell’Università Cattolica di Milano e Piacenza
Ma il problema è proprio questo: io credo che lei e io su questa riflessione sulla proporzionatezza potremmo arrivare a grandi margini di accordo, certo lo sappiamo benissimo che nessuno oggi discute di un’eutanasia attiva, il problema è proprio quello: se l’interruzione o la prescrizione per il futuro possa prescindere da un giudizio sulla proporzione. Una proporzione che certamente integra anche aspetti del vissuto soggettivo, ma si tratta di vedere se diventa un criterio suscettibile di una condivisione o se diventa una totale soggettivizzazione. Su questo si gioca molto, potremmo essere anche non d’accordo su alcuni aspetti di questo, ma abbiamo credo messo in evidenza un aspetto molto delicato, anche se era tangenziale rispetto alla passione comune che oggi abbiamo per l’aiuto alle persone in difficoltà.

LAURA CANAVACCI
Commissione Regionale Toscana di Bioetica
Sì. Più che altro alla volontà di ricordare che queste disquisizioni, sulle quali io poi credo ci sia invece un margine ampio di accordo, anche la sentenza su Eluana Englaro non dice “Un rispetto della volontà incondizionato” ma dice “Un rispetto della volontà condizionato all’accertamento di determinate condizioni cliniche”, sulle quali poi si può essere d’accordo o meno, sulle quali la scienza può discutere, però comunque richiama un giudizio di proporzionatezza rispetto agli interventi, quindi un giudizio semioggettivo, che è quello della scienza. Però la cosa importante secondo me è che queste disquisizioni non vadano a coprire, non siano presentate o percepite in antitesi a invece un riconoscimento di una soggettività che chiede la rimozione di quegli ostacoli all’espressione di un’autonomia che è nella vita quotidiana.


 

Intervento Sig. Mauro Sozzi

Non faccio parte di organizzazioni né Clubs,presenti qui né fuori di qui. Appartengo all’associazione dei
non associati.Sono un libero cittadino che vuol dire quello che pensa sui Gravissimi Disabili con la speranza
di aiutarli.L’aggettivo “Disabile” dà un’idea abbastanza chiara della condizione fisica e/o mentale della
persona.Si deve però tener presente che ci sono dei differenti stati di disabilità :cioè differenti condizioni
di vita.Infatti, si va da disabili che parlano,parzialmente immobili ed in buone condizioni mentali, a
disabili all’estremo limite della vita, immobili,senza alcuna capacità di parlare né di intendere e volere
in una condizione ,insomma, vegetativa.Per quest’ultima condizione la Società si impegna al massimo,
sia per umanità che per etica, per far vivere quelle persone anche in quello stato.Per quei disabili invece, in condizioni gravissime, perché non parlano, sono completamente immobili ma con piene facoltà mentali
la Società non fa assolutamente quanto dovrebbe.Eppure, per loro, sarebbero indispensabili mezzi adeguati
e un’assistenza totale di 24 ore su 24, al fine di potergli far soddisfare , sempre, le loro necessità : come noi,
del resto, esaudiamo le nostre quando vogliamo.Solo in questo modo, queste persone, acquisteranno la
consapevolezza di una vita dignitosa e indipendente che vale la pena di vivere.
Succede, che a una persona coinvolta in un grave fatto traumatico, gli si prodigano tutte le cure possibili, che spesso la salvano,restando, purtroppo, alle volte, impedita sia nel parlare che in tutte le altre attività motorie
tranne che in quelle intellettive.Comunque, noi ci riempiamo di soddisfazione al pensiero che , la Società di
cui noi facciamo parte, con la sua efficienza che si evidenzia con la velocità dell’intervento (ambulanze,
elicotteri), con la tecnica e qualità dei suoi complessi ospedalieri, questa Società gli ha salvato la vita.
Ci dimentichiamo, però, che se a queste persone, in uno stato di gravissima disabilità ma integre di
cervello, non diamo la possibilità di vivere una vita dignitosa molte di loro, trovandosi in uno stato indigente
arriveranno anche a pensare di voler morire. Del resto quanti di noi, qualche volta, hanno pensato che,
prima di restare completamente immobili, non parlare, non poter decidere niente, e non avere la benché minima possibilità di una vita decente, sarebbe meglio non vivere.
Ebbene, le Istituzioni, insomma la Società, deve farsi completamente carico dei gravissimi disabili e dar loro
quanto abbisognano per vivere una vita dignitosa.Seguiteremo altrimenti, a trovarci nell’assurdità di
salvare la vita a persone , che, poi, senza un benché minimo spiraglio di vita decente si formerà nella loro
mente il pensiero di non volerla più vivere.Così di tutte e due le “cose” ne saremo i responsabili :della
loro vita e Dio non voglia, della loro morte. Non può esserci una benché minima giustificazione alla
mancanza di una totale assistenza e di adeguate ed immediate sovvenzioni da dare a questa “gente”, per
permettergli una vita dignitosa che gli scacci dalla mente brutti pensieri e, a noi, ci renda la coscienza
più tranquilla. Attacchiamoci con forza a chi di dovere, perché sia dato immediato corso alla formulazione
di una legge adeguata e, velocemente, sia resa operativa.Mancano i mezzi ? Facciamo un carro armato in
meno ; perderemo la guerra ? Ma poi per non perderla basta non farla !